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"Ma così la nostra politica sarà decisa dagli stranieri"

L'esperto: quelli che diventeranno cittadini del nostro Paese avranno forti potenzialità elettorali

"Ma così la nostra politica sarà decisa dagli stranieri"

La popolazione italiana scenderà dai 60 milioni di oggi a poco più di 53 milioni nel 2065 e sarà molto più anziana, il mancato ricambio generazionale metterà a repentaglio il mercato del lavoro e, infine, gli immigrati residenti in Italia supereranno i 14 milioni. Questo il futuro prospettato dall'Istat. «Non è una sorpresa - spiega Gian Carlo Blangiardo, demografo e docente di Statistica all'Università Milano-Bicocca Vengono solo delineate delle tendenze in corso, delle quali si è avuta una chiara anticipazione in questi anni. Se non cambierà qualcosa, il punto di arrivo sarà quello prospettato dall'Istat».

Insomma, nel 2065 avremo un calo della popolazione italiana e oltre 14 milioni di stranieri residenti in più.

«Questo numero non è assolutamente una novità e lo si poteva già immaginare. Questo è il finale della storia, avendo ben presente la consistenza e la continuità dei flussi migratori».

I numeri dicono che gli immigrati supereranno ampiamente il 20 per cento della popolazione totale. Secondo lei, avrà delle conseguenze sul piano politico interno?

«Avrà sicuramente un'influenza. Quella cifra illustra la popolazione straniera residente ma senza cittadinanza italiana, ma dietro c'è un altro numero, forse non così grande ma comunque consistente, di persone di origine straniera che hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Per darle un'idea, solo nel 2016 sono stati 200mila gli stranieri che sono diventati cittadini italiani. É questo gruppo che ha forti potenzialità elettorali e che potrà sicuramente condizionare le scelte politiche. Stiamo parlando del 2065, non è dietro l'angolo, ma tutto ciò è la conseguenza di quello che è stato fatto fino a oggi».

Quindi, una sorta di rivoluzione, come è stata immaginata per la Francia da Michel Houellebecq nel suo libro Sottomissione?

«Non sono in grado di dirle che cosa succederà, ma se i numeri sono questi bisogna immaginare una realtà politica, sociale e culturale molto diversa rispetto a quella di oggi».

A fronte di un continuo calo della natalità e dell'invecchiamento della popolazione, come si potrebbe intervenire per fermare o quantomeno frenare questa tendenza?

«La politica ha già una ricetta, che sta nel cassetto della presidenza del Consiglio. É stata elaborata a suo tempo dal governo Berlusconi e si chiama Piano nazionale per la famiglia. É stata poi approvata dal governo Monti nel 2012, ma alla fine è stata rimessa nel cassetto. Detto questo, in quel piano ci sono una serie di indicazioni che darebbero una mano a risollevare la famiglia e il problema della natalità in Italia. Stiamo parlando di una cosa nota, che naturalmente chiede delle risorse, ma nessuno oggi può dire che non fosse previsto. Prendiamo atto di un fatto che accade, che si sa come poterlo contrastare, ma si decide per motivi politici, legittimi intendiamoci, che non sia una priorità».

Uno scenario abbastanza fosco. Quale sarà l'epilogo?

«Ciascuno si prenderà le proprie responsabilità. Sono trent'anni che si ripetono le stesse cose. Siamo arrivati a 470mila nascite nel 2016, probabilmente nel 2017 saranno di meno, come nel 2018, e avanti così fino ad arrivare ai numeri tracciati dall'Istat. Vogliamo proseguire in questa direzione? É chiaro che il discorso dell'invecchiamento, del welfare, della forza lavoro, di far quadrare i conti in una società fortemente invecchiata avrà delle pesanti conseguenze».

Esperienze in controtendenza in altri Paesi?

«Le faccio un esempio: i francesi, che sono vicini a noi, fatti come noi e ragionano similmente a noi, hanno circa 300mila nascite in più all'anno e hanno una popolazione che equivale numericamente alla nostra. Ci sarà un motivo?».

La politica per la famiglia

«Certo, e abbiamo già un'evidenza: qualcosa che dà un risultato oltre le Alpi e uno diverso in Italia. Ma, ripeto, sono scelte che spettano alla politica, che ha le sue priorità e preferisce dedicare le risorse ad altre cose.

Ne prendiamo atto».

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