Le dolci colline dell'Umbria si tingono di rabbia. «Eravamo i padroni di una banca che faceva gli interessi della nostra terra - spiega al Giornale Carlo Ugolini - poi ci hanno messo i piedi in testa, ci hanno portato via tutto, le nostre quote non valgono più nulla». Letteralmente: zero. Carta straccia. La Popolare di Spoleto era un gioiello, ora è la periferia dell'impero targato Desio. E allora Ugolini alza il vessillo della class action : 21mila artigiani, commercianti, piccoli imprenditori, quella che un tempo si chiamava la provincia operosa, pronti a marciare in tribunale contro la Banca d'Italia che nel 2013 dopo una serie sfibrante di ispezioni aveva commissariato l'istituto di credito e pure la Spoleto Crediti e Servizi, la cooperativa che lo controllava. Caso unico nella storia tricolore, nelle scorse settimane il Consiglio di Stato ha dato non una ma due volte torto a via Nazionale spiegando in due distinte sentenze che il commissariamento non stava in piedi. Una coppia di schiaffi e altrettante figuracce in un conflitto lacerante fra le istituzioni del Paese.
«Diciamo la verità - riprende Ugolini - c'è stato un assedio alla banca, un fuoco concentrico con l'attacco simultaneo della Procura, della Banca d'Italia, delle coop umbre. Alla fine il ponte di comando di Spoleto è stato spazzato via, ora che la banca non è più degli umbri si scopre che la cacciata è stata sostanzialmente abusiva». In teoria, ma solo in teoria, se si dovesse applicare il verdetto del Consiglio di Stato allora alla presidenza della banca, o meglio della Spoleto Crediti e Servizi, dovrebbe tornare lui: Giovannino Antonini, il banchiere carismatico e non proprio ortodosso, dal fisico imponente e dal tratto ruvido che a Spoleto godeva e forse gode ancora di grande popolarità. Ma ormai tornare indietro è molto difficile e alla comunità non resta che denunciare quello che tanti considerano uno scippo, compiuto da un sistema di potere che in Umbria fa blocco dal Dopoguerra. Con la variante che l'operazione a tenaglia, o almeno così viene descritta, è poi sfuggita di mano, perché dopo la cacciata di Antonini le coop rosse hanno dovuto mollare la presa e alla fine è spuntata la Popolare di Desio che ha ingoiato la preda. La Spoleto Crediti e Servizi che prima aveva il 51 per cento è scesa ad un irrilevante 13 per cento. Ma precipiterà ancora: il 30 marzo ci sarà un altro, contestatissimo aumento di capitale, senza iniezione di denaro ma con il conferimento di 30 sportelli di cui la vecchia guardia spoletina farebbe volentieri a meno.
Attenzione. Stiamo parlando di un istituto piccolo ma vitale per l'economia di Spoleto, un tempo capitale gloriosa di un regno longobardo che si è inerpicato per i secoli fino al 1198 e oggi famosa per il Festival dei due mondi e i tartufi con Urbani leader mondiale del settore. Fra il 2012 e il 2013, quando tutto precipita, la Popolare ha raggiunto dimensioni ragguardevoli: più di 100 sportelli, 150mila clienti, 3 miliardi di depositi. E il vento nelle vele. Dovrebbe essere un vanto del nostro sistema, invece è pronta per essere spolpata. Le grandi manovre cominciano in realtà prima, nel 2010 quando il Monte dei Paschi e la cooperativa Centro Italia mettono gli occhi su quella banca, ma l'assalto fallisce. Spoleto resta indipendente e per di più anomala in un panorama che conosce un solo colore: il rosso. E invece il dominus dell'istituto Antonini non solo è uno che va per le spicce, ma è anche politicamente scorretto perché rimpiange un leader che da queste parti non si può neanche nominare: Giorgio Almirante.
Nel 2012 una nuova società, la Clitumnus, torna alla carica: fra i soci c'è ancora una volta la coop Centro Italia; ma c'è di più: l'amministratore della Clitumnus Francesco Carbonetti è imparentato con il procuratore di Spoleto Gianfranco Riggio. Il figlio ha sposato la figlia del magistrato. E a luglio 2012 anche la procura di Spoleto si muove, contestando a 34 persone, in testa Antonini, una sfilza di reati gravissimi. Nello stesso periodo, con un tempismo quasi sbalorditivo, Mps denuncia i patti parasociali, figli di un vecchio aumento di capitale avvenuto nel 2007, e decide di restituire le sue quote per un valore di 30 milioni. Non basta, perché l'ennesima ispezione di Bankitalia si chiude con un verdetto clamoroso. Commissariamento. Prima della banca e poi della Spoleto Crediti e Servizi. Ma i guai per Antonini non sono finiti. Il peggio arriva dalla Capitale. Lo arrestano su input della Procura di Roma per corruzione in atti giudiziari: avrebbe pagato una tangente a un giudice del Tar.
«Sembra di stare in un famoso film - spiega al Giornale Antonini - Assassinio sull'Orient Express . Con i congiurati che ci hanno dato una coltellata a testa partecipando a un rito sacrificale collettivo». Naturalmente nessuno può o vuole accreditare la tesi di un maxicomplotto ordito in chissà quale cabina di regia. Resta però la sequenza implacabile dei fatti che mettono in ginocchio l'ormai ex gioiello. «Eravamo una realtà florida e una presenza politicamente anomala in una regione dove tutto è omologato dal 1945 - aggiunge Antonini - e ci hanno espropriato. Ora cominciano a darci ragione». Nel giro di qualche settimana accadono fatti impensabili: il Consiglio di Stato due volte capovolge i vecchi verdetti e stabilisce che non c'erano i termini per il commissariamento. Poi il vecchio procuratore, imparentato con Carbonetti, va in pensione e la Procura torna sui suoi passi: riscrive l'atto di chiusura dell'inchiesta contro Antonini & company che Riggio aveva depositato nel 2013. Molti capi d'imputazione spariscono nel nulla, il numero degli indagati precipita da 34 a 13. «In tutta la mia carriera non ho mai visto niente di così stupefacente - racconta al Giornale Manlio Morcella, penalista di lungo corso, uno dei più noti avvocati umbri fra l'altro difensore di Antonini - invece di chiedere il rinvio a giudizio dei 34 indagati, la Procura dopo quasi due anni di silenzio ha ridimensionato le vecchie accuse». Si attendono notizie da Roma. Peccato che intanto Spoleto, sfuggita alle mire di Clitumnus, sia finita nella rete di Desio. Una banca lontana, almeno geograficamente, da Spoleto.
E i 21mila si organizzano per chiedere un risarcimento astronomico alla Banca d'Italia e al ministero dell'Economia. «Hanno chiuso il rubinetto che dava ricchezza alla nostra provincia - conclude Ugolini - e le nostre quote, quelle in cui avevamo investito i risparmi, non valgono più nulla».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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