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La "cosa rossa" chiude al Pd e si offre ai Cinque Stelle

Bersani pronto a dialogare con i grillini: "Anche se mi schiaffeggiano". Speranza: "Renzi? Nome del passato"

La "cosa rossa" chiude al Pd e si offre ai Cinque Stelle

Porte chiuse al Pd e a Matteo Renzi. Un tappeto rosso da srotolare di fronte ai 5 Stelle. Nel primo pomeriggio di ieri, l'assemblea nazionale di Mdp ha sancito lo strappo definitivo a pochi mesi dal voto. Nessuna alleanza con il Pd renziano. Con il Movimento di Grillo però si può discutere. «Anche se mi schiaffeggiassero gli parlerei», assicura Pier Luigi Bersani a In mezz'ora di Lucia Annunziata. I grillini «hanno dentro qualcosa, non sono un fuoco di paglia», aggiunge l'ex segretario dem. La rotta ormai è segnata. Le urne saranno l'Armageddon delle due sinistre.

Davanti a una platea piena di teste canute, i ribelli guidati dal coordinatore Roberto Speranza hanno respinto al mittente le residue ipotesi di coalizione con i dem. «Renzi è un nome del passato, non del futuro», tuona Speranza dal palco. Massimo D'Alema non c'è. L'ex segretario dei Ds è in Cina per lavoro, ma i suoi sodali si muovono risoluti nel solco che lui stesso ha tracciato. Con il Pd, almeno finché c'è Renzi, nessuna alleanza. Tra gli applausi scroscianti, l'ex capogruppo dem alla Camera scandisce: «I mille giorni di governo non sono altro che la variante italiana degli errori commessi dal centrosinistra nel mondo».

Non c'è proprio nulla da salvare nell'esperienza a palazzo Chigi di un nemico creduto sconfitto con il referendum del 4 dicembre, eppure ancora vivo. L'ex sindaco di Firenze «è come Tavecchio», attaccato alla poltrona malgrado i fallimenti quanto il presidente della Figc, dice il deputato Arturo Scotto. Il numero uno del calcio italiano sembra però vicino a gettare la spugna, mentre Renzi non ha alcuna intenzione di farsi da parte.

Il tentativo di mediazione fatto da Piero Fassino per conto del Pd finisce nella polvere di una sinistra litigiosa e orfana di leadership. «Lo dico ai padri nobili con il rispetto che si deve a chi porta questo tratto di nobiltà. Fate bene a voler ricucire la tela, ma dove eravate quando la tela si è definitivamente strappata?», ruggisce dinanzi all'assemblea il capogruppo di Mdp alla Camera, Francesco Laforgia. Il prossimo scontro tutto interno alla sinistra è fissato per oggi pomeriggio alla Camera. Si discuterà la proposta di ripristino dell'articolo 18. La prima picconata al Jobs Act, nei desideri dei bersaniani.

L'assemblea di Mdp approva il progetto di lista unitaria con Sinistra italiana di Nicola Fratoianni e Possibile di Pippo Civati. Il tutto sarà ratificato nel corso di un nuovo incontro, fissato per il 3 dicembre. Rimane fuori Giuliano Pisapia, che con i buoni uffici di Fassino e Romano Prodi dovrebbe legarsi al fronte renziano. «Ci si vede in Parlamento», dice Bersani agli ex amici dem parlando al microfono dell'ex iena Enrico Lucci. «Dopo le elezioni, siamo pronti a parlare con tutto il centrosinistra e con tutto il Pd, anzi a partire dal Pd», promette.

La sinistra, o ciò che ne rimarrà, farà dunque i conti a urne chiuse, quando ciascuno potrà far valere le proprie percentuali. La nuova cosa rossa sogna di presentarsi alla sfida elettorale del prossimo anno sotto la guida di Pietro Grasso. «Ma non tiriamo il presidente del Senato per la giacca», chiarisce il deputato veneto Davide Zoggia. L'assemblea di Mdp sussulta d'entusiasmo al solo sentire il nome dell'ex procuratore nazionale antimafia, omaggiato sia da Speranza che da Laforgia. «Vorremmo facesse parte di questo progetto», dice quest'ultimo.

Bersani blandisce invece i 5 Stelle, e lo fa citando un pezzo da novanta della vecchia Democrazia cristiana: «Io seguo l'insegnamento di Aldo Moro che diceva: Quando c'è qualcosa che non capisci preoccupati prima di tutto di dargli una mano per tenerli dentro un alveo democratico. Quindi, io anche se mi schiaffeggiano gli parlo».

Per la sinistra, si tratterebbe soltanto dell'ennesimo colpo in piena faccia.

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