Cossutta, il comunista amico di Cossiga

Era il più filosovietico dei dirigenti del Pci ma il Picconatore lo stimava: non era una spia

Cossutta, il comunista amico di Cossiga

Roma C'è tutta l'ingiuria della morte, in quei titoli di agenzie straniere che sbrigativamente, nel dare notizia della morte di Armando Cossutta alle soglie dei novant'anni, recavano ieri la scritta: Moscow's man, l'uomo di Mosca. Non solo riduttiva ma anche molto ingiusta, la definizione, per il più filosovietico degli esponenti del Pci (Togliatti escluso); quello che trattava i finanziamenti per il Bottegone durante la Guerra fredda («Erano dollari, mica rubli», ebbe a spiegare). Educato alla disciplina e granitico politico d'altri tempi, semmai. Comunista era, comunista è rimasto. E interista fino al midollo (luccichìo d'occhi nel mostrare la sua tessera d'Inter club al cronista), nonché amante dell'ossobuco, piatto che lo riconduceva a una milanesità mai rinnegata («Togliatti mi ha spiegato come si fa a riconoscere quello vero», raccontò). Al suo bravissimo biografo, il giornalista Gianni Montesano, aveva dettato persino l'epitaffio: «Se domani ci sarà una pietra sulle mie ceneri, per favore scriveteci sopra: Armando Cossutta, comunista» (Una storia comunista, Rizzoli, Milano 2004).

Dolcissimo nonno con il suo Simon, figlio di Maura, non era mai stato né estremista né trinariciuto, il compagno Cossuttovic. Integerrimo, questo sì. Ma anche capace di ironia e persino autoironia, talora, in alcuni dei momenti più travagliati della storia recente; forse per il confronto che doveva apparirgli grottesco con le vicende da lui vissute nella Resistenza. Catturato dai repubblichini, erano arrivati a mettergli il viso davanti a una stufa, tirandolo via solo quando si diffuse un forte odore di capelli bruciati. Le SS, invece, pare avessero inscenato una finta esecuzione per farlo parlare. Senza risultato. Il Dopoguerra non fu da meno, con le Gladio contrapposte (quella rossa «un presidio democratico contro il rischio di golpe» sosteneva), poi l'espulsione di Pintor e Rossanda dal Cc del Pci, e quindi lo «strappo» (la celebre definizione è sua) da Mosca di Berlinguer nell'81. Così fatti tutto sommato lievi dovevano sembrargli quelli successivi, dalla Bolognina di Occhetto con la Rifondazione comunista fondata assieme a Garavini e Libertini, all'ulteriore «strappo» di Bertinotti, che lo porterà a fondare il Pdci con Diliberto. E il finale strappo di quest'ultimo, che lo estromise dalla sfera decisionale.

Roba da ridere, per uno che spiegava: «Comunista è anzitutto un nome bellissimo, che nella storia ha mosso tante cose». Ma sarebbe stato pronto a rinunciare a falce e martello, come rivelò al Giornale, parlando di Bertinotti: «Mica ci voleva una grande intelligenza, del resto lo avevamo già fatto nel '48...». Francesco Cossiga ne aveva una grande stima, come raccontò anche lui al Giornale: «Cossutta è un amico e so che non era una spia, semmai era spiato... Una volta, per avere i finanziamenti dal Kgb per Paese Sera, dovette andare dall'ambasciatore di Parigi, non fidandosi di quello in Italia, che avrebbe potuto riferire a Berlinguer... L'episodio divertente però fu un altro: l'aereo con il quale tornava fu costretto a un atterraggio d'emergenza...

Quando, evocando la storia in un'occasione pubblica, Cossutta raccontò: Riparammo a Copenaghen, io lo corressi: No, Stoccolma. Come fai a saperlo?, sbalordì. Eravamo meno fessi di quanto tu pensavi, potetti dire con soddisfazione». Peppone e don Camillo non erano affatto frutto di fantasia.

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