«L a prima cosa in assoluto che farei da premier è adottare il Freedom of information Act», disse Matteo Renzi a fine 2013. E nel suo discorso di insediamento a Palazzo Chigi rilanciò: «Voglio una rivoluzione nel rapporto tra cittadini e Pa». In precedenza aveva sposato questa causa a colpi di slide nella corsa alla segreteria Pd: «Qualsiasi documento e informazione inerente a qualsiasi amministrazione pubblica (con la sola eccezione dei documenti secretati) deve essere accessibile a chiunque», si leggeva nel suo programma.Sono trascorsi due anni e finalmente il governo ha approvato in via preliminare, nello scorso gennaio, un testo - un decreto legislativo su cui devono esprimersi le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato - che in teoria dovrebbe tradurre in sostanza normativa la regola della trasparenza totale e del libero accesso agli atti della Pa. Alla prova dei fatti, però, Renzi è scivolato sulle sue stesse promesse, producendo un testo che appare come un boomerang e un moltiplicatore di burocrazia. Il «verdetto», assolutamente negativo, arriva addirittura da parte di chi da anni sta lottando per arrivare a questo risultato. Le associazioni - «Riparte il futuro», «Diritto di sapere» e altre 30 realtà della società civile - che portano avanti la battaglia per il diritto di accesso ai dati della Pa (per la quale c'è stata una petizione con oltre 60mila firme) sono sul piede di guerra e si sono anche attrezzate producendo un video molto efficace e divertente per spiegare il pasticcio.«Così non migliora la trasparenza, anzi si peggiora la situazione attuale», denunciano. Il motivo? La richiesta sarà a pagamento. Inoltre è necessario fornire dettagli molto difficili da conoscere in anticipo e l'amministrazione può opporre un diniego generico senza motivarlo. Inoltre il governo vuole anche introdurre il «silenzio-diniego», una fattispecie che tradisce le premesse stesse su cui dovrebbe fondarsi un Freedom of information Act, spostando il baricentro dal cittadino alla Pa, depositaria così di una assoluta posizione di forza. In sostanza se il cittadino non riceverà una risposta entro 30 giorni, significherà che l'amministrazione ha negato l'accesso agli atti e il cittadino non potrà sapere se il mancato responso sia imputabile all'assenza del documento o, invece, sia dovuto a una (ma quale?) delle molteplici eccezioni.I cahiers de doléance non finiscono qui. Manca, infatti, un responsabile unico a cui rivolgersi. Non sono previste sanzioni per le amministrazioni riottose. Di fronte al rifiuto resterà un'unica strada per veder riconosciuto il proprio diritto: il ricorso alla giustizia amministrativa che ha però costi elevati. I promotori di Foia4Italy ritengono vada riaffermata la completa gratuità dell'accesso, fatto salvo il rimborso di eventuali costi eccezionali (come riproduzione e invio dei documenti). «Ci aspettiamo un segnale forte dal Parlamento, che faccia proprie le perplessità già espresse dal Consiglio di Stato. Il Freedom of information Act non può essere solo un'etichetta senza sostanza ma deve essere uno strumento fondamentale per prevenire la corruzione rendendo trasparente la Pa» sottolinea Federico Anghelé (Riparte il futuro).
«Questa legge sottolinea Guido Romeo (Diritto di sapere) - rischia di peggiorare la scarsa trasparenza che c'è in Italia togliendo diritti ai cittadini e mettendo in difficoltà le amministrazioni che vogliono essere virtuose».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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