Un decreto col silenziatore. Il governo lavora al quarto invio di armi all'Ucraina sottotraccia e sottovoce, vista la delicatezza del momento e, nello specifico, della materia, non tra le più digeribili per Conte e ciò che resta dei Cinque Stelle. Che pure, va premesso, avevano votato sì al decreto legge 14/22 (convertito poi nella legge 28/22) che autorizza ogni eventuale nuovo invio di armi a Kiev fino al 31 dicembre, passando per i decreti ministeriali e per il Copasir e limitandosi a una informativa trimestrale al Parlamento. Conte sul punto a fine giugno aveva minacciato un primo strappo, salvo poi rimandare ad altro momento e ad altro tema l'apertura della crisi nella maggioranza.
Ma la questione armi resta delicata. La controprova si è avuta ieri, quando le agenzie hanno battuto la notizia dell'audizione al Copasir del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, in calendario domani alle 11. Collegandola, ovviamente, al varo del quarto decreto sulle armi all'Ucraina. Finché, nel primo pomeriggio, l'audizione s'è tinta di giallo con la smentita categorica arrivata dall'organismo parlamentare diretto da Adolfo Urso. L'audizione del ministro, spiega la nota, verterà «su argomenti di carattere generale», e per quanto sia «previsto anche un aggiornamento sulla guerra di invasione russa in Ucraina», di certo «non sarà oggetto dell'audizione il nuovo decreto interministeriale». Insomma, l'invio di armi non c'entra con la visita di Guerini a Palazzo San Macuto: il decreto numero quattro non c'è ancora. Anche se proprio l'Ansa ricorda, riportando la marcia indietro, che «in mattinata fonti qualificate avevano comunicato invece come tra i temi dell'audizione ci fosse anche il quarto decreto sull'invio delle armi».
Fonti vicine al Copasir negano misteri di sorta, e confermano che l'iter del prossimo decreto sarà lo stesso, e che «appena verrà definito dal governo verrà presentato al comitato», esattamente come accaduto per i precedenti, nel corso di una a questo punto ulteriore audizione del ministro della Difesa. Quando? Non è dato saperlo, anche se da giorni si rincorrevano rumors sui «lavori in corso» del nuovo decreto. Delicato, visto che proprio ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito l'importanza strategica delle armi arrivate dall'Occidente nel favorire i successi dell'esercito di Kiev. E che proprio le voci sul decreto in corso d'opera ipotizzavano come questa volta l'Italia avrebbe potuto spedire anche armi a lunga gittata, richieste da Zelensky, dai vertici dell'esercito ucraino e ritenuti fondamentali dagli esperti per garantire a Kiev il diritto di difesa e la possibilità di arrivare a un negoziato su basi più eque. Di certo già a giugno si sono esaurite le spedizioni previste dal terzo e finora ultimo decreto, e quindi da quasi un mese era in corso la valutazione del materiale da inviare da parte dei ministeri competenti, tanto che si pensava che il quarto decreto fosse prossimo al varo. Poi, invece, il silenzio.
Complice, probabilmente, la crisi prima minacciata da Conte a forza di ultimatum che elencavano tra i punti critici anche le strategie «pacifiste» per l'Ucraina - e poi deflagrata clamorosamente la scorsa settimana. Ma intanto il lavoro sul prossimo invio di armi è proseguito, come pure gli scambi di informazioni tra Guerini e il suo omologo a Kiev Reznikov, anche se appunto sotto silenzio. La conseguenza naturale sembrava appunto l'annuncio dell'audizione al Copasir del ministro, poi derubricata ad «altro». Del quarto decreto e di armi dirette a Kiev, insomma, in questo momento nessuno ha voglia di parlare.
Tranne gli ucraini, come ha ricordato l'altro giorno il consigliere di Zelensky Mikhailo Podolyak con un tweet eloquente che sembra diretto a Conte e Draghi: «La tradizionale lotta politica interna nei paesi occidentali non deve intaccare l'unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male. In particolare, sulla fornitura di armi all'Ucraina».
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