Da Luxottica a Gucci passando per Prada, Louis Vuitton e Tod's. Il 2014 sarà ricordato come uno spartiacque per il mondo della moda di lusso. Solo un anno fa, i titoli delle masion più quotate al mondo avevano fatto faville e il settore «luxury» era considerato tra i più resistenti alla crisi economica. Una certezza per il mercato e gli investitori che è andata via via sgretolandosi. Risultato? La «bolla delle griffe» è scoppiata e i numeri che segnalavano crescite a doppia cifra sono diventati un ricordo. E così sul banco degli imputati sono finiti i manager e le scelte d'investimento.
Il patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio ha completamente ribaltato i vertici dell'azienda rompendo lo storico sodalizio con Andrea Guerra (oggi consigliere del premier Matteo Renzi) e ieri Francois-Henri Pinault, presidente e ceo di Kering (maison Gucci) ha chiuso la gestione targata Patrizio Di Marco (ceo) e Frida Giannini (direttore creativo). Insomma, per il settore della moda e per i suoi top manager potrebbe essere solo l'inizio di una rivoluzione dalle molte «vittime» eccellenti. Ma perché questi colossi del fashion non sono rimasti impermeabili alla crisi? Nel caso più recente, quello di Gucci, la maison che pesa per il 30% dei ricavi della capogruppo Kering, nel terzo trimestre 2014 ha totalizzato 851 milioni di ricavi, segnando un calo dell'1,6%. Contrazione che segue il -5,7% del secondo trimestre e il -3,2% del primo. Il risultato è un bilancio a 9 mesi dove il fatturato è sceso del 3,5% a 2,5 miliardi. «Il gruppo - spiega un analista - paga come altre case di moda la debolezza di mercati quali la Cina, che sta ufficialmente rallentando il passo, Hong Kong, e la Russia». In quest'ultimo caso, si tratta sia di minori flussi di turisti da e per la regione, a seguito della guerra in Ucraina, sia delle restrizioni ai beni occidentali che fanno da contraltare alle sanzioni economiche. Oltre a Gucci, le società più esposte nel Paese sono Ferragamo e Cucinelli, seguite da Tod's. Quanto a Hong Kong, si è registrato nel 2014 il peggior dato di presenze turistiche cinesi da anni, mentre nella stessa Pechino le misure anti corruzione stanno penalizzando le società esposte ai gioielli e agli orologi di alto valore, quindi ad esempio Richemont. Mercati, dunque, nell'occhio del ciclone. Ma non solo. «Come Gucci, anche Louis Vuitton e Prada - commenta un analista - hanno avuto difficoltà nel cercare di mantenere alto il livello di esclusività dei propri prodotti». Un mix quindi di scelte e qualità della domanda con il marchio delle due G «accusato» di aver alzato troppo i prezzi. E così, tra mercati e strategia, per brand come Louis Vuitton, Gucci e Prada sono un ricordo le vendite in crescita del 10-20 e 30%. E inizia a scricchiolare anche Burberry che in ottobre ha lanciato un allarme sui profitti rivedendo le stime. Diverso il caso di Tod's su cui, oltre al rallentamento in Cina, pesa l'eccessiva esposizione all'Italia.
Insomma, la bolla è scoppiata e la performance dei titoli in Borsa parla chiaro: nell'ultimo anno Prada ha perso il 36,5%, Ferragamo il 28,15%, Tod's il 45%, Safilo il 39,5%, Cucinelli il 22,6%. Colpa della super corsa degli anni scorsi, dietro cui, insinuano (oggi) diversi analisti non c'erano numeri a supporto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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