Sul caso Cucchi più si scava e più vengono fuori retroscena vergognose per un Paese civile. L'unica consolazione è che questo Paese - l'Italia - sta riuscendo, a distanza di anni, a ripristinare verità che in tanti - in troppi - volevano fossero seppellite per sempre. E tra i potenziali «insabbiatori», purtroppo, emergono anche pezzi di Stato che sarebbero dovuti essere al di sopra di ogni sospetto. Ma la realtà è diversa. Stefano Cucchi, 31 anni, fu trovato morto il 22 ottobre del 2009 in una stanza dell'ospedale «Pertini» di Roma, dopo essere stato arrestato e picchiato.
L'ultimo, drammatico, colpo si scena consiste in una «relazione segreta», datata 30 ottobre 2009, «precedente all'autopsia chiesta dalla procura dopo il decesso del giovane». A darne notizia è stato il pm Giovanni Musarò al processo bis in corte d'assise con cinque carabinieri imputati. Ma cosa emerge dal documento spuntato dal pozzo nero dei depistaggi? «In quel documento preliminare - sottolinea il pm - si evidenziava come la lesività delle ferite che non consentisse di accertare con esattezza le cause della morte». La relazione in questione era stata firmata dal medico legale Dino Tancredi (nominato il 30 ottobre 2009), che scriveva testualmente: «Servono ulteriori approfondimenti per definire con certezza le cause della morte di Cucchi». Eppure già in quei giorni l'Arma si affrettò a dichiarare «come i medici legali avessero escluso il nesso di causalità tra la morte del giovane e le percosse subite». Un'autoassoluzione preventiva che i fatti oggi smentiscono clamorosamente: il «nesso di causalità» tra ferite ed eventuali percosse non poteva - e non doveva - essere «escluso» dai vertici dell'Arma. «Se nel 2009 non si conoscevano le cause della morte com'è possibile che i carabinieri nei loro documenti già lo sapessero?», si chiede il pm. Il medico legale si limita a dire: «Non so perché la relazione non venne diffusa né fu messa a disposizione delle altre parti fin dall'inizio delle operazioni». L'ennesimo brutto risvolto dell'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi si incentra attorno alla prima consulenza chiesta dalla Procura subito dopo la morte, che - secondo il pm - «venne anticipata ai vertici dei carabinieri con una relazione preliminare non ufficiale».
«In atti ufficiali del comando del gruppo dei carabinieri di Roma, - spiega il pm - erano anticipate le conclusioni di consulenti (che la procura non aveva ancora nominato) con riferimenti e risultati parziali dell'autopsia».Traduzione: un documento strumentale finalizzato a scagionare i carabinieri da ogni sospetto.
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