La cultura fallita per troppa destrofobia

La casa editrice Il Mulino, cenacolo di cultura liberale, quando arrivò al potere Berlusconi si chiuse verso destra, anche verso gli esponenti "più degni", e da élite si trasformò in oligarchia

La cultura fallita per troppa destrofobia

Ha ragione Ernesto Galli della Loggia a notare sul Corsera la parabola del Mulino, la casa editrice bolognese, cenacolo di cultura liberale, che quando arrivò al potere Berlusconi si chiuse verso destra, anche verso gli esponenti «più degni», e da élite si trasformò in oligarchia.

Onestamente non so se questa sia la causa principale della sua crisi odierna. E soprattutto non credo che questo discorso riguardi solo il Mulino. Mezza editoria italiana, giornali inclusi, all'avvento di Berlusconi si chiuse a riccio e trasferì l'odio per i «reazionari» o i «fascisti» su tutto quanto si muoveva nei paraggi di Berlusconi o nel quadro bipolare si collocava sulla linea del centrodestra. Editori che si stavano aprendo negli anni Ottanta e Novanta ad autori, temi e culture genericamente di destra, si sono nuovamente chiusi con rinnovato livore partigiano. Si sono innalzati steccati, senza distinguere tra degni e indegni, tra colti e barbari, tra opportunisti, cortigiani e chi quelle idee frequentava già prima che arrivasse al potere Berlusconi.

Il risultato è stato un razzismo etico e culturale di ritorno, aggravato dai tabù del politically correct e dalle tribù accademico-mafiose. E in questo, caro Ernesto, come in passato, non c'erano solo i media di sinistra.

Il cordone sanitario (lo dico anche per esperienza personale) cominciava appena fuori dall'ambito del centrodestra. E oggi, nell'era Mattea, più contorno di grillini, cambierà qualcosa? O cambierà solo per sopraggiunta estinzione di protagonisti e antagonisti?

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