È la cultura del piagnisteo che regala fama e pubblicità

Un principe/duca debole di carattere e comprensibilmente segnato fin dall'infanzia dalla tragica e insensata perdita di una madre incompresa

È la cultura del piagnisteo che regala fama e pubblicità

Un principe/duca debole di carattere e comprensibilmente segnato fin dall'infanzia dalla tragica e insensata perdita di una madre incompresa. Una duchessa dal carattere invece fortissimo importata dal Paese più razzista del mondo occidentale, gli Stati Uniti, che grazie a lui si è costruita ciò che davvero desiderava: un mix perfetto tra privilegi senza pari e la pubblicità per la sua persona. Guardatemi, è il suo messaggio, sono io la vera nobile in questa storia, nobile di principii e non per lignaggio come mio marito a cui ho insegnato cosa sia la vera nobiltà. Peccato che lei non abbia resistito a procurarselo quel lignaggio, con tutti i concretissimi vantaggi che ne derivano. Ma è proprio qui il punto: questa denuncia di presunto razzismo a Palazzo condita di lacrime pubbliche da vera attrice quale Meghan Markle rimane non è altro che l'ultimo capitolo della saga della «cultura del piagnisteo» che da quarant'anni imperversa in America e, più di recente, anche in Europa. Un piagnisteo di sinistra chic, quello che vede solo le terribili colpe dell'Occidente e ne pretende la riduzione in uno stato di autoflagellazione perpetua. Il piagnisteo intollerante della «cancel culture» che tra l'altro si dimentica volentieri delle donne tormentate dalla cultura islamica perché vede in essa la nuova versione della ribellione al vero colpevole di ogni nefandezza storica: il maledetto Occidente, appunto. Nello specifico rappresentato dalla monarchia britannica, che l'americana Meghan è riuscita a far ridicolizzare da suo marito il duca di Sussex, non da ultimo convincendolo a far chiamare il loro figlio Archie, che sarebbe un po' come se un Savoia battezzasse suo figlio Gigetto: snobismo assoluto. Non è davvero un caso che la sciccosissima ditta Meghan&Harry entusiasmi i Michael Moore d'America e d'Europa: loro (o meglio: lei) vogliono essere come lui, il perfetto moralista a senso unico secondo cui tutto il male del mondo viene da destra. E, come lui, ipocriti alla massima potenza. Ci vuole del coraggio ad accusare la Gran Bretagna di razzismo, come fa il regista più gauche caviar del mondo, dal pulpito americano, rivangando colpe storiche vecchie di 400 anni.

Quella Gran Bretagna dove oggi il 13% della popolazione è non bianca, il 6% ormai di etnia mista e che vede rappresentata questa diversità in Parlamento da un 10% di deputati non bianchi, senza dimenticare ministri importanti e il sindaco di Londra esponenti di minoranze e l'apertura a milioni di potenziali profughi cinesi di Hong Kong. Ma diciamo la verità, chi se la sarebbe filata la duchessa se non avesse sputato nel piatto in cui riccamente mangia?

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