Riformare le pensioni è l'esercizio più rischioso per i governi. Dell'esecutivo Monti si ricorda (oltre alla maxi patrimoniale sugli immobili), la riforma previdenziale firmata dal ministro Fornero. I nomi di Amato, Dini, sono associati a cambiamenti radicali delle regole previdenziali che hanno avuto il merito di mettere in equilibrio i conti pubblici, ma non quello di rendere più equo il sistema. Il governo gialloverde rischia di finire nel calderone degli esecutivi che hanno fatto cassa con le pensioni.
All'inizio, gli annunci. La fine della riforma Fornero e i tagli ai privilegi dei parlamentari. Il taglio ai vitalizi, assicurava l'esecutivo, non è la premessa per colpire le pensioni oltre il perimetro degli organi costituzionali. Non è andata così. Nella legge di Bilancio non c'è Quota 100, cioè la norma che dovrebbe ammorbidire i requisiti della Fornero, ma c'è il taglio alle pensioni d'oro, sopra i 100 mila euro lordi, e il freno al recupero dell'inflazione degli assegni.
Vero che la mancata perequazione non comporterà nessun taglio rispetto alle pensioni in essere, ma un mancato aumento rispetto al recupero dell'inflazione. La brutta notizia per i pensionati c'è tutta.
Anche il contributo di solidarietà a carico delle pensioni più alte è diverso dalle premesse. Come osservava tempo fa «Itinerari previdenziali», osservatorio guidato da Alberto Brambilla, esperto di pensioni vicino al leader della Lega Matteo Salvini, il taglio delle pensioni d'oro è stato presentato «come una riduzione della parte di pensione non coperta da contributi». In realtà il taglio oltre le 4.500 euro al mese, «non ha alcuna logica» visto che «le pensioni maggiormente avvantaggiate dal metodo retributivo» sono «quelle intermedie fino a 3.500 euro. Stiamo cioè parlando di pensionati che fanno parte di quel 4,36% di contribuenti che mantengono il 46% della restante popolazione».
Facile sospettare che il taglio delle pensioni d'oro sia solo un modo per fare digerire la mancata rivalutazione, che colpirà anche pensionati con assegni bassi. Il governo, questa la tesi di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, dice di volere togliere ai ricchi per dare ai poveri. Non è così. «Dai tagli alle poche migliaia di pensioni al di sopra dei 100 mila euro si ricaveranno 239 milioni in tre anni, mentre il taglio dell'incremento dell'inflazione che colpirà milioni di pensioni comprese fra 1.500 e 3.000 euro porterà nelle casse statali 2,3 miliardi di euro». Il maggiore introito per le casse dello Stato sarà quello ottenuto «mettendo le mani nelle tasche della fascia di reddito medio-basso».
Damiano è un esponente della sinistra Pd. Ma la tesi di una serie di misure inique fa breccia anche in altri ambienti. «La gallina da spennare si acquatta nel pollaio della rivalutazione automatica al costo della vita», ha scritto nei giorni sorsi Giuliano Cazzola, esperto di previdenza.
Quindi, tagli che dovevano risparmiare gli assegni bassi, colpiranno pensioni poco sopra i 1.500 euro mensili. E i proventi serviranno a finanziare le altre misure della Legge di Bilancio, in primo luogo il reddito di cittadinanza. La scure sulle pensioni d'oro colpirà chi in passato ha pagato più contributi e oggi versa più imposte.
Ora si apre un capitolo tutto nuovo. Il governo deve presentare Quota 100, che però non sarà una riforma definitiva, ma una misura sperimentale per tre anni. La possibilità di andare in pensione a 62 anni con 38 di contributi. Nel 2019 la misura costerà solo 3,9 miliardi rispetto ai 6,7 miliardi previsti. Merito delle finestre che dovrebbero spostare in avanti il pensionamento. Il primo assegno arriverà dopo tre mesi rispetto alla data in cui è stato maturato il diritto. Se le domande dovessero essere troppe, il rinvio sarà di sei mesi.
Altri paletti in arrivo, il divieto di cumulo tra redditi da pensione e da lavoro secondo modalità da decidere. Con la riforma dovrebbe arrivare anche la proroga di opzione donna e il congelamento del meccanismo che lega l'età del pensionamento alle aspettative di vita. Sempre che i conti tornino.
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