Coronavirus

La cura del governo vale solo lo 0,5% del Pil. Confcommercio: consumi giù di 52 miliardi

L'economia crolla e i decreti non bastano. Confindustria: via la plastic tax

La cura del governo vale solo lo 0,5% del Pil. Confcommercio: consumi giù di 52 miliardi

Le dimensioni di quanto poco si possa muovere il governo per rispondere alla crisi la danno le stime diffuse ieri da Confcommercio e Upb, oltre alle richieste delle imprese. Se il dato del Pil del 2020 rischia registrare una caduta mai provata prima, con stime che si muovono intorno ad un tracollo di dieci punti percentuali, le misure messe in campo dall'esecutivo guidato da Giuseppe Conte per fare fronte alla crisi da coronavirus, avranno un impatto di mezzo punto percentuale.

L'Ufficio parlamentare di Bilancio guidato da Giuseppe Pisauro ha applicato un modello macroeconometrico per valutare gli effetti del decreto Cura Italia e dei successivi provvedimenti. Il risultato è «quantificabile in quasi mezzo punto percentuale di Pil nell'anno 2020», ha spiegato lo stesso Pisauro. Il costo delle misure è al momento poco più di un punto di Pil.

La cifra indicata ieri dal premier Giuseppe Conte - 50 miliardi per gestire l'emergenza, non confermata ancora dal ministero dell'Economia Roberto Gualtieri - coincide con quanto potrebbe perdere il solo settore del commercio.

Con il protrarsi delle chiusure dei negozi, con lo stop al turismo, i servizi, i trasporti e le professioni molte aziende rischiano di non riaprire. Se il regime delle chiusure dovesse protrarsi fino a ottobre, ha calcolato l'ufficio studi di Confcommercio, si registrerebbe una riduzione dei consumi di oltre 52 miliardi e un calo del Pil di circa il 3%, stime che incorporano anche gli aiuti stanziati con l'ultimo decreto. I settori che saranno più colpiti sono: alberghi e ristorazione (-23,4 miliardi), trasporti e autoveicoli (-16,5 miliardi), tempo libero (-8,2 miliardi), abbigliamento (-6,6 miliardi)».

Solo un intervento coraggioso della Bce potrebbe attenuare il crollo. Impossibile quindi che l'Italia possa farcela con risorse proprie che aggravino il costo del debito.

Un dato complessivo sulle attività economiche colpite lo ha fornito l'Upb nella relazione che accompagna il decreto Cura Italia. «L'insieme delle imprese attive nei settori maggiormente interessati dalla emergenza (alto e medio impatto), rappresenta il 53 per cento dei ricavi complessivi (pari a circa 3.400 miliardi)». L'azzeramento delle entrate avrà «effetti rilevanti» in termini di liquidità».

In questo contesto, che comprende l'inasprimento delle chiusure deciso dal governo con i sindacati, Confindustria ha avanzato richieste precise.

Viale dell'Astronomia chiede ad esempio il posticipo di plastic e sugar tax, limiti allo stop ai licenziamenti, l'estensione e l'allargamento della platea interessata dalla moratoria dei mutui.

Sul versante del fisco la confederazione guidata da Vincenzo Boccia (nella foto) chiede lo stop alla proroga di due anni dei termini di prescrizione e la decadenza degli accertamenti, che sarebbero scaduti alla fine del 2020. Poi l'eliminazione dell'addizionale Ires sui redditi «derivanti dallo svolgimento di attività di concessionari autostradali, aeroportuali, portuali e ferroviari, considerati i già rilevanti pregiudizi sopportati dai concessionari».

Misure che hanno un costo. La chiave di tutto resta la disponibilità di risorse. Quindi spesa in deficit consentita dall'Unione europea, i prestiti del Mes e le politiche espansive della Bce.

Condizioni al momento non scontate.

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