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Dagli 007 al Recovery plan. Renzi vuole archiviare Conte

Il logoramento del leader Iv. E Giuseppi teme di presentarsi alla conferenza di fine anno senza risultati di cui vantarsi

Dagli 007 al Recovery plan. Renzi vuole archiviare Conte

«Inchioderemo Conte ai contenuti», promette Matteo Renzi. Che oggi, o al massimo domani, si accinge a presentare il suo «contro-piano» di investimenti per il Recovery Fund. Smontando pezzo per pezzo, in una trentina di pagine, quel «collage di ovvietà senza visione» che il premier spaccia come suo piano di rinascita nazionale.

La partita della verifica è tutt'altro che finita. Conte vorrebbe presentarsi il 30 dicembre, alla sua conferenza stampa di fine anno, potendosi pavoneggiare di qualche risultato ottenuto, a parte i dpcm sul numero di ospiti al cenone. Ma rischia di arrivarci con la finanziaria ancora aperta al Senato, la verifica in alto mare e il Recovery Plan da riscrivere, perché anche il Pd chiede sostanziose correzioni al testo e alla struttura immaginate a Palazzo Chigi. Tanto che la conferenza stampa potrebbe slittare.

Ma la vera brace che cova sotto le ceneri è quella dei servizi segreti. Conte, pronto a qualsiasi concessione su altri tavoli pur di continuare a tenere per sé il controllo, ha già fatto sapere che su questo non mollerà. Utilizzando argomenti quanto meno originali: la guida dei servizi segreti, ha teorizzato, non può essere data ad un partito diverso da quello del premier. Ed essendo costituito il suo partito da lui medesimo e al massimo da Rocco Casalino (con Guido Alpa e Padre pio presidenti ad honorem), ovvio che la delega debba andare a lui. Un'argomentazione che ha lasciato basiti i suoi alleati. «Ma quando mai si è sentito che i servizi sono un problema di partito?», si chiedono nel Pd, dove la delega ai servizi viene reclamata per Emanuele Fiano. E Matteo Renzi con il Corriere della Sera è stato tranchant: «Una battuta degna di un analfabeta istituzionale». Dietro la disperata resistenza del premier su quel fronte fioriscono le interpretazioni. La più accreditata riporta al Russiagate: nel 2019 Conte mise i servizi italiani a disposizione dell'amministrazione Trump, che aveva inviato in Italia il ministro della giustizia William Barr, per tentare di mettere in piedi una surreale contro-inchiesta su Obama (e Renzi) per contrastare le clamorose rivelazioni sui rapporti con Putin e i russi dello staff trumpiano, che il procuratore speciale Mueller stava portando alla luce. Con quell'operazione poco chiara, è l'accusa, Conte si guadagnò la gratitudine di Trump e la sua benedizione a «Giuseppi», molto utile visto che il premier (allora) grillo-leghista era privo di agganci a livello internazionale. Ora però Trump è stato cacciato a furor di popolo dalla Casa Bianca, e Conte ha un gran bisogno di far dimenticare quella storia, e quindi di non far mettere il naso ad altri nel caso Russiagate, così come nell'imbarazzante pasticcio libico che ha portato alla liberazione dei pescatori prigionieri di Haftar. «Sui servizi segreti terremo il punto senza incertezze», promette chi nel Pd segue da vicino il dossier, avvertendo che Conte farebbe meglio a «temere l'ira dei mansueti».

Nelle file dem però c'è il sospetto che Renzi, stavolta, faccia sul serio, e non solo sui servizi segreti. «Per me il Conte 2 è già finito e archiviato, è ora di parlare del dopo», dice lui. E una parte del Pd è tentata di seguirlo nella resa dei conti. Per questo ieri Goffredo Bettini ha provato ad agitare lo spauracchio delle elezioni anticipate inevitabili, e della lista Conte che si presenterebbe.

Beccandosi subito la rispostaccia del dem Andrea Romano: «Bettini non considera che una Lista Conte toglierebbe voti proprio al Pd?».

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