Una parabola poco felice quella delle leggi firmate da Elsa Fornero. Pochi lo rammentano, ma il ministro del governo Monti è stata protagonista di due riforme, non una. Quella del lavoro e quella delle pensioni. Di fatto sono entrambe cadute per cause molto diverse tra loro: politiche, contabili e giuridiche. La novità di ieri è la cancellazione di un pezzo di quella previdenziale, con effetti drammatici per i conti pubblici. Il blocco della perequazione, cioè di quel meccanismo che adegua le pensioni al costo della vita, è stato giudicato incostituzionale dalla Consulta. Era parte del Salva Italia del 2011 e serviva a raggranellare 5 miliardi di euro a beneficio dei conti pubblici. Venduto come un seguito del prelievo straordinario sulle pensioni d'oro, finì per colpire i pensionati che percepiscono assegni da 1.217 euro netti.
Nelle motivazioni della bocciatura, la Corte costituzionale ha precisato che è necessario salvaguardare il «potere di acquisto delle somme percepite» dai pensionati «da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata». Un «diritto, costituzionalmente fondato», che «risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie». Un po' come bocciare la logica che stava alla base di tutto il Salva Italia: fare cassa nel modo più sicuro possibile. Quindi aumenti di tasse (l'economia italiana ancora non si è ripresa dalla stangata sulla casa) e tagli alle pensioni. A ben guardare dai giudici è arrivata una bocciatura allo spirito che ha animato quasi tutte le riforme delle pensioni italiane, tese più a fare cassa che a rendere decente uno dei sistemi previdenziali più iniqui del pianeta.
Ma la riforma previdenziale Fornero era già finita nel tritacarne per un difetto di fabbricazione, quello che riguarda gli esodati. Persone uscite in anticipo dal lavoro, magari incentivate da uno scivolo che si è rivelato troppo corto quando sono entrati in vigore i nuovi severissimi requisiti per il ritiro previsti dalla normativa. Finirono nei guai più di 300mila persone. Il conto miliardario del salvataggio lo hanno pagato i governi successivi. A testimonianza del fatto che le misure tese a fare cassa, finiscono sempre per produrre altri costi.
In confronto un altro bug della riforma, la quota 96 che riguarda circa 10mila insegnanti che pensavano di andare in pensione ma non hanno potuto, è nulla. Ma è un nodo politico che riemerge regolarmente a ogni legge di Stabilità. Poi c'è la riforma del Lavoro. Di segno totalmente opposto, tanto che molti la considerarono una dettatura della Cgil al ministro Fornero. Rese più rigido il mercato del lavoro, limitò i contratti a termine e l'apprendistato. Ma diede anche il primo colpo all'articolo 18, escludendo dal reintegro i licenziamenti per motivi economici.
Nell'ultima conferenza di fine anno da premier, fu lo stesso Mario Monti a sconfessarla, ammettendo a mezza bocca che aveva avuto un effetto ciclico. Aveva favorito la crisi, invece di contrastarla.
In quel caso, non c'è stato bisogno di giudici costituzionali per cancellare la riforma Fornero. I due governi successivi hanno fatto marcia indietro, rinnegandola e stravolgendola. A dimostrazione del fatto che le ricette salvifiche non esistono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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