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Dai diritti agli affari: la triste parabola di una sinistra che si è venduta

Tocca a Panzeri dopo il caso Soumahoro. Quella deriva dietro il paravento delle "lotte"

Dai diritti agli affari: la triste parabola di una sinistra che si è venduta

Quasi cinquecentomila euro in contanti. Mazzette, ipotizzano gli inquirenti. E allora si resta sbalorditi perché Antonio Panzeri è una delle voci storiche del riformismo ambrosiano e italiano, un punto di riferimento per la sinistra che a Milano faticava a toccare palla. Oggi che non è più in prima linea, il suo nome può suscitare interrogativi sbiaditi, ma Panzeri, classe 1955, è stato il leader milanese della Cgil e per un certo periodo si pensava a lui come al possibile successore di Sergio Cofferati, a sua volta per una breve stagione il vero antagonista di Silvio Berlusconi.

Panzeri ha interpretato a lungo una linea pragmatica, forse l'unica praticabile nella metropoli lombarda alla prese con la deindustrializzazione, e certo fa impressione pensare che oggi si sospetti una deriva oltre il confine della legalità: la capacità di leggere la realtà senza gli occhiali dell'ideologia avrebbe lasciato il posto ad altre logiche e altre prospettive. Una parabola avvilente, se sarà confermata dallo sviluppo delle indagini.

Panzeri è per lungo tempo una figura di raccordo fra la Cgil e il partito, naturalmente il Pci e poi le sue evoluzioni. Il tutto in un'epoca in cui le due chiese officiavano lo stesso rito e incrociavano i percorsi dei loro colonnelli. Panzeri è per due mandati segretario della Camera del lavoro di Milano, insomma è ai vertici del sindacato, poi deve lasciare, come da statuto, e inizia la carriera politica. Nel 2004 viene eletto al Parlamento europeo, con 105 mila preferenze, naturalmente nella circoscrizione Nord-Ovest, e sembra portare a Bruxelles le istanze di una sinistra meno legata ai vecchi dogmi ormai in soffitta e pronta a dialogare con il ceto medio e la borghesia meneghina.

Ma le cose vanno diversamente; Panzeri viene rieletto la seconda e la terza volta, ma il rapporto con il Nazareno si consuma: l'europarlamentare esce dal Pd e aderisce ad Articolo 1, poi si ritrova fuori dall'emiciclo: in realtà continua a frequentare il mondo della politica. È direttore della Ong Fight impunity che annovera nel comitato scientifico personaggi come Emma Bonino e Federica Mogherini.

Insomma, l'impegno anche dopo aver lasciato la prima linea: forse, dietro le quinte, se dobbiamo dare credito a quel che sta emergendo a Bruxelles, Panzeri transita in quella fase al partito degli affari. I suoi interlocutori non sono più i lavoratori milanesi, gli operai costretti a reinventarsi dopo il declino delle fabbriche e l'esplosione del terziario; no, dai radar di Panzeri sarebbero usciti anche gli euroburocrati e i funzionari della Ue, o forse no, perché spezzoni dell'apparato si sarebbero integrati fra Bruxelles e Strasburgo con emiri e mediatori mediorientali.

Tutto da dimostrare, in un'inchiesta che per una volta non nasce in Italia. La cronaca giudiziaria ci ha abituato per lunghi periodi a indagini che colpivano il centrodestra. Quando, a finire sotto i riflettori sono i protagonisti dell'altro versante, si tende a catalogarli come un'eccezione. Un'eccezione che ai tempi di Mani pulite tolse dall'imbarazzo l'allora Pds perché i miglioristi furono equiparati ad una variante degli allora impresentabili socialisti.

Qui non è facile cavarsela con le acrobazie semantiche e i distinguo capziosi ma resta il fatto che la storia gloriosa di Panzeri non può essere cancellata. E mette a disagio pensare che possa aver virato in altra direzione, privilegiando intrighi e oboli.

Chissà. La vicenda di Aboubakar Soumahoro, che peraltro non è indagato, insegna che proclami e invettive qualche volta sono solo un paravento: dietro si nascondono pasticci, o peggio rapporti opachi. Certo, sono storie diverse e con differenti profili: fra l'altro da qualche tempo Panzeri era finito nella penombra e non aveva più la notorietà del deputato della sinistra radicale, scintillante campione dell'opposizione al governo Meloni.

Battaglie su battaglie, manifestazioni, assemblee e cortei, talk e interviste. Poi dietro le quinte affiora altro. Non proprio edificante.

Anche se sarebbe a dir poco ingeneroso trasformare gli elementi investigativi che arrivano dal Belgio in una sentenza di condanna.

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