D'Alema: così verremo travolti E sul tavolo rispunta il Mattarellum

Per Baffino "con Minniti ministro abbiamo già perso 5 punti". Depositata la proposta per ripristinare il vecchio sistema

D'Alema: così verremo travolti E sul tavolo rispunta il Mattarellum

Roma - Nasce il governo Gentiloni, nel quale la voce renziana sarà rappresentata dal fido braccio destro Luca Lotti, promosso ministro. Ma Renzi guarda oltre, pensa già alle elezioni e si prepara a blindare la propria leadership nel Pd con il congresso. E non è detto che gli dispiaccia troppo quella defezione in extremis dei verdiniani, che - oltre a risparmiare a Gentiloni una sicura polemica politica - lascia il nuovo esecutivo appeso a numeri esili in Senato.

A mezzogiorno, la Direzione Pd si riunisce per votare - all'unanimità - il via libera al gabinetto Gentiloni. Renzi siede in presidenza, in maglione blu, lascia al vice Lorenzo Guerini il compito di introdurre ma alla fine replica al dibattito. E mette in chiaro che le elezioni devono arrivare presto: «È evidente che nei prossimi mesi andremo alle politiche». Già, ma come? Perché una cosa è chiara, come ammettono i suoi: con la vittoria del No, si chiude l'era maggioritaria e si rischia di precipitare rapidamente verso il proporzionale e i governi di coalizione. Diventa assai più probabile la scissione della minoranza Pd (e già Bersani ne getta le premesse avvertendo che «valuteremo i provvedimenti del governo prima di votarli») e lo stesso Renzi si lascia sfuggire un «non so se alla fine mi candido». Improbabile che sia così, ma lo sfogo del leader lascia intendere l'amarezza per «l'occasione persa dal Paese», che ora «rischia di tornare indietro di trent'anni», a quella «Prima Repubblica» che l'ex premier evoca: «Non avremo più uno che governa, ma tutti che inciuciano».

Il Pd prova a reagire, e getta sul tavolo la riproposizione del Mattarellum, evocato da molti interventi in Direzione. Una mossa d'apertura, ben sapendo che per fare la nuova legge elettorale occorrerà mettersi d'accordo con Berlusconi, che difficilmente accetterebbe quel modello. Ma si sa, nelle trattative si chiede 100 per ottenere 60. Nella riunione Pd, Bersani come al solito tace (in attesa di essere invitato in tv) e manda avanti il solito Roberto Speranza ad attaccare Renzi: «Se non c'è spazio per chi ha votato No al referendum lo si dica con chiarezza», lamenta. Come a voler iniziare a prefigurare l'alibi di un futuro distacco. Perché il percorso disegnato dal segretario, che domenica nell'Assemblea nazionale Pd convocata a Roma vuole aprire la marcia verso il congresso e conta di celebrare le primarie per la leadership tra il 26 febbraio e il 5 marzo, trova la sinistra dissidente totalmente impreparata. Senza un candidato che abbia qualche chance di non perdere rovinosamente contro Renzi, e senza una linea politica precisa che non sia il «morte al fiorentino», la minoranza Pd rischia di arrivare alle elezioni in condizioni precarie, e di essere decimata nelle liste elettorali. L'unica salvezza per loro potrebbe venire da un proporzionale con basse soglie di accesso. E così Speranza inizia a spiegare che il congresso come «prova di forza del capo» non gli piace, e la fronda promette battaglia in vista dell'Assemblea, dove chiederà, senza ottenerle, le dimissioni di Renzi. In serata c'è spazio pure per D'Alema: «Se la risposta alla sconfitta è spostare Minniti al posto di Alfano, abbiamo già perso di 5 punti. Sarà un'ondata».

E Renzi sfotte i bersaniani (che portarono il Pd al minimo storico del 25%): «Quelli che pensano di avere il copyright dell'idea di sinistra, il 40% non lo hanno visto neanche col binocolo. Neppure con personalità superiori a quelle che siedono oggi qui».

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