Dopo un lungo silenzio, Massimo D'Alema rifà capolino, con tanto di imbarazzanti virgolettati, da un retroscena su Repubblica. Ed è subito polemica.
Dice che pur di «cacciare» Renzi voterebbe «per Lucifero», ergo sta «consigliando» a tutti di votare a Roma per la Raggi; che bisogna buttare giù il governo dell'usurpatore della Ditta e quindi fargli perdere i ballottaggi e poi il referendum. Si schiererà per il No, anzi vuol dar vita ad appositi comitati con la minoranza Pd, che siano poi il nucleo di una «nuova sinistra» de-renzizzata e tornata in mano agli ex Pci: all'uopo, starebbe puntando su personaggi del calibro di Michele Emiliano, Ignazio Marino e Bobo Craxi. Fin qui il retroscena. Di fronte alle reazioni indignate del Pd (con Debora Serracchiani che lo accusa di giocare allo «sfascio» mentre Renzi dice «ha smentito, non commento,) D'Alema ha fatto vergare una smentita, nella quale non smentisce di non voler votare per il candidato Pd, ma spiega che essendo lui «quasi sempre all'estero» non si occupa di campagna elettorale, che le riunioni descritte da Goffredo De Marchis su Repubblica non ci sono state e che il tutto è frutto della «fantasia» del cronista e - udite udite - «dei suoi mandanti». «Mandanti» renziani, dicono nell'entourage dalemiano, che avrebbero orchestrato la cosa insieme all'odiato editore di Repubblica De Benedetti. A che scopo non è chiaro, a meno che lo stesso D'Alema pensi che un suo endorsement alla Raggi sia inevitabilmente un favore a Giachetti. Cosa che sospettano anche i grillini, che ieri si mostravano assai poco entusiasti del sostegno dalemiano alla candidata di Casaleggio: «Dopo Alemanno, Marino e Casapound, alla Raggi mancava solo D'Alema per fare Bingo», se la ride un dirigente renziano. Repubblica però conferma, e bolla come «grottesco» il riferimento ai «mandanti».
Nel Pd, Matteo Orfini prende atto della smentita e dichiara «chiuso» l'incidente. Ma che le posizioni di D'Alema siano quelle è ben noto in casa renziana, nonostante ieri Gaetano Quagliariello tendesse a minimizzare raccontando di aver avuto proprio lui, davanti ad alcuni docenti universitari, uno scambio con D'Alema che solo come «iperbole» e «scherzosa invettiva» era arrivato a ipotizzare certi scenari. In verità, fu proprio D'Alema a far sapere di non considerare «autorevole» la candidatura di Giachetti (il che, detto dall'uomo che ha lanciato Ignazio Marino in politica, non è esattamente il massimo dell'attendibilità), e di essere tentato di votare Marchini al primo turno. Di certo, ha cercato di scoraggiare tutti coloro che davano una mano ai candidati del Pd renziano: ne sa qualcosa la ex dalemiana Livia Turco, accusata di «tradimento», in furibonde telefonate, quando si è schierata con Giachetti. E ne sanno qualcosa i dirigenti del circolo Mazzini, sezione Pd di D'Alema, da lui invitati a formare subito «un forte comitato di sinistra per il No»: «Non ci pare l'idea migliore», gli hanno obiettato imbarazzati quelli, che fanno già parte del Comitato per il Sì romano.
Per ironia della sorte, proprio mentre il Gran Rottamato fa così parlare di sé, secondo ambienti tv il suo ex Dioscuro Walter Veltroni, tra un film e un romanzo, starebbe discutendo con la Rai l'ipotesi di condurre una trasmissione d'intrattenimento. Forse per dimostrare a D'Alema che ci può essere vita oltre l'ex Pci.
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