Dall'addio di Fiat al sogno auto elettriche, così il polo siciliano è stato illuso (e deluso)

L'odissea è iniziata nel 2009. Ma negli anni '80 era uno stabilimento di punta

Dall'addio di Fiat al sogno auto elettriche, così il polo siciliano è stato illuso (e deluso)

Il calvario dell'ex polo produttivo Fiat di Termini Imerese è forse giunto all'epilogo. Dal novembre del 2011, quando l'ormai ex Fiat Group chiuse l'impianto dal quale erano usciti modelli come Panda, Tipo e per ultima la Lancia Y, si sono susseguite promesse, manifestazioni di interesse anche dall'estero, stanziamenti pubblici, toccate e fughe, riunioni fiume, tavoli, progetti annunciati (anche ambiziosi) ma sempre con delle sorprese dietro l'angolo. Quasi una maledizione. Il tutto con la regia romana di Invitalia, l'Agenzia italiana per l'attrazione degli investimenti, che da anni lavora per la reindustrializzazione dell'area e si occupa dei finanziamenti.

La svolta giudiziaria fa ora ripiombare nell'incertezza quei lavoratori che nell'iniziativa di Roberto Ginatta, presidente di Blutec (gruppo Metec), hanno riposto le ultime speranze. E che ieri, dopo l'intervento delle Fiamme gialle e i sigilli ai cancelli, sono ripiombati in un incubo che non sembra finire mai. Eppure, quello di Termini Imerese per diversi anni è stato uno degli impianti più produttivi del gruppo Fiat, arrivando a occupare, negli anni '80, fino a 3.200 persone e assicurando lavoro ad altre 1.200 nel territorio alle porte di Palermo.

La doccia fredda arriva nel 2009 quando Sergio Marchionne, dagli Stati Uniti, comunica la chiusura dello stabilimento nei due anni successivi: «La fabbrica è in perdita e c'è uno svantaggio competitivo». Disponibilità a dare una mano per la riconversione, ma decisione irremovibile. Problemi di viabilità, costi eccessivi per il trasporto delle auto, lo scalo marittimo non all'altezza e un territorio difficile da gestire le cause all'origine della decisione.

Eppure quella di Ginatta, imprenditore torinese, amico di Andrea Agnelli, presidente della Juventus, con il quale condivide alcuni investimenti, sembrava il progetto giusto per rilanciare il polo siciliano, grazie all'indirizzo green tanto in voga in questo periodo: l'elettrificazione delle auto. I dipendenti avrebbero dovuto produrre componenti per auto elettriche (in particolare per le future versioni a batterie di Fiat Doblò e Ducato) e l'assemblaggio delle batterie Samsung. Proprio il 5 marzo, l'azienda aveva presentato gli aggiornamenti del piano industriale che prevedeva commesse anche per Garage Italia, l'italo-cinese Xev (X Electrical vehicle) e la cinese Jiayuang, mentre la produzione delle batterie per il Ducato avrebbe dovuto riassorbire interamente la forza lavoro attualmente fuori dalle attività produttive entro la fine del 2019.

Prima di Ginatta, altri imprenditori avevano aperto il dossier Termini Imerese. Tra questi, il finanziere Simone Cimino, con alle spalle il gruppo indiano Reva (la fabbrica sarebbe dovuta diventare un hub produttivo «affacciato» sul Nord Africa).

Anche Massimo Di Risio, attuale presidente della molisana Dr Motor, aveva mostrato interesse, palesandolo ai suoi amici cinesi di Chery, che annovera ancora come soci. Spunta in seguito il nome di Adler. E anche il suo presidente, Paolo Scudieri, guarda alla possibilità di uno stabilimento-hub per il Mediterraneo. Il resto è storia di queste ore.

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