Dalle accuse in aula ai "non ricordo". Conte, Toninelli & C. sbugiardati dai pm

Cercarono di far fuori il leghista con assist ai magistrati. Tre anni di inchieste inutili

Dalle accuse in aula ai "non ricordo". Conte, Toninelli & C. sbugiardati dai pm

L'ex ministro che sembra Alice nel paese delle meraviglie e il due volte presidente del Consiglio che gioca allo scaricabarile con il contorno di altri pezzi grossi grillini oggi sbugiardati dalle parole pronunciate in aula a Catania che hanno suggellato la decisione collegiale del governo sul caso Gregoretti. Una scoperta dell'acqua calda sottolineata dal pubblico ministero, Andrea Bonomo, che ha chiesto il non luogo a procedere per l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini. In sintesi, il leader della Lega, non decise di testa sua di trattenere a bordo della nave della Guardia costiera Gregoretti 114 migranti, nel luglio 2019, per esercitare pressione sull'Europa sempre restia ai ricollocamenti.

Al di là dell'importante significato processuale la richiesta del pm sbugiarda il tragicomico tentativo di arrampicarsi sugli specchi dei grillini allora, come oggi, alleati di governo.

Il più ridicolo è Danilo Toninelli, ex ministro dei Trasporti, che aveva la responsabilità della Guardia costiera. I suoi 42 «non ricordo» e «non so» in due ore di testimonianza a Catania sul caso Gregoretti rimarranno simbolo tragicomico della trasformazione del grillino in Alice nel paese delle meraviglie. La linea del Piave era la seguente: «Il Consiglio dei ministri non trattò l'argomento. La scelta di quando fare sbarcare è esclusiva competenza del ministero dell'Interno». Lo smemorato della politica non ricordava i contenuti del laborioso accordo di governo che prevedeva la linea dura sull'immigrazione e ancora meno la politica di ridistribuzione dei migranti. «Non so, non ricordo» che cozzavano con i post dei giorni di nave Gregoretti quando il ministro Toninelli tuonava su Twitter che «non li faremo sbarcare se la Ue non batte un colpo». Per non parlare della tabula rasa sul cruciale tavolo tecnico, del 12 febbraio 2019, che aveva sancito la linea dell'intero governo: prima certezze sulla redistribuzione dei migranti e poi lo sbarco. Non a caso, ieri in aula a Catania, l'avvocato del leader della Lega, Giulia Bongiorno ha ricordato le comiche di Toninelli: «C'è chi ha rinnegato la sua attività di ministro».

Pure il due volte presidente del Consiglio, con e senza la Lega, Giuseppe Conte, viene sbugiardato dalla piega del processo di Catania. L'avvocato di se stesso, a differenza di Toninelli, rispose a tutte le domande sul caso Gregoretti, ma cercò sempre di fare il giochetto dello «scaricabarile» sull'allora ministro dell'Interno Salvini. L'indirizzo politico, quello di coinvolgere preventivamente l'Europa nella redistribuzione dei migranti soccorsi nel Mediterraneo, era condiviso dal governo secondo Conte, ma le decisioni sugli sbarchi erano di competenza del cattivone che guidava il Viminale. Peccato che l'ex premier nel video della conferenza stampa a fine 2019 ribadisse chiaramente: «Prima i ricollocamenti, poi lo sbarco».

La grillina dispersa, Elisabetta Trenta, all'epoca dei fatti ministro della Difesa impegnata in un braccio di ferro mediatico e politico con Salvini, ha mantenuto un basso profilo. L'unico alleato di governo, che non si è tirato troppo indietro dalla responsabilità collegiale sancita in aula a Catania, è stato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, allora vicepremier come Salvini. Il paradosso è che la linea dura condivisa dal governo Conte 1 ha portato all'accordo di Malta sulla ridistribuzione dei migranti del Conte 2 purtroppo congelata dal covid.

Per di più con il secondo governo Conte cambia poco, come dimostrano diversi casi collegati alla navi «umanitarie» Ocean Viking, Alan Kurdi, Aita Mari a Open Arms. Tutte situazioni di stallo, che hanno registrato dai 3 ai 10 giorni di attesa dalla richiesta del porto sicuro allo sbarco. Per i migranti del Gregoretti i giorni erano sei.

La verità è che il processo a Catania per sequestro di persona, come quello sostanzialmente identico a Palermo del caso Diciotti è un maldestro tentativo di far fuori Salvini per via giudiziaria con lo zampino dei grillini.

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