Milano Sì può abbracciarsi e piangere di gioia perché hanno condannato tuo marito a quindici anni di carcere? Sì: se tuo marito si chiama Pierpaolo Brega Massone, e fino a ieri incarnava davanti a tutta Italia - fiction tv comprese - un diavolo in camice bianco, un medico pronto ad ammazzare i suoi pazienti per fare soldi; e se per due volte tuo marito era stato condannato all'ergastolo. Barbara Magnani è rimasta accanto a quell'uomo, combattendo contro la disperazione, contro i giudici e contro i cliché della gente: «Si flectere nequeo superos, Acheronta movebo», si è scelta come profilo su Whatsapp. Così quando ieri la Corte d'appello di Milano ribalta quelle condanne, e infligge a Brega Massone quindici anni di carcere, è quasi una assoluzione. Sarà stato un medico spregiudicato e incauto, ma non ha mai voluto uccidere nessuno. Lo avranno mosso l'ambizione e la presunzione, ma non la fame di soldi.
«Clinica degli orrori»: così venne ribattezza dieci anni fa la Santa Rita, il giorno in cui l'inchiesta scosse Milano e l'Italia. Si parlava di venticinque morti sospette, pazienti spediti al Creatore con operazioni inutili solo per gonfiare i rimborsi della Regione. E al centro di tutto lui, Brega Massone, maghetto della chirurgia pneumotoracica, e fervido cultore dela Vat, tecnica d'intervento tanto invasiva quanto rischiosa.
Nei confronti di Brega, la Procura di Milano imboccò una strada senza precedenti: lo accusò di omicidio volontario, un reato mai contestato nei casi di colpa medica. Brega sapeva quel che faceva, e aveva messo in conto che i pazienti - debilitati, spesso anziani, a volte terminali - potessero lasciarci le penne. E quindi, dissero i pm, doveva essere trattato e condannato come qualunque assassino.
Sembrava una interpretazione ardita: invece in primo grado e in appello la Procura chiese e ottenne la condanna all'ergastolo per quattro casi di omicidio volontario. Su Brega, sulla sua ambizione fuori controllo e sul suo caratteraccio, sembravano destinate a chiudersi per sempre le porte del carcere. «Non è stato giudicato, è stato giustiziato», disse in Cassazione il suo difensore, Titta Madia, chiedendo che il processo venisse riaperto. La Cassazione gli diede ragione, e ordinò di rifare il giudizio d'appello.
Ma com'è possibile che un ergastolo si riduca a quindici anni? Ieri la Corte d'appello riporta tutto su un binario più ordinario, e declassa il processo e Brega da caso da annuari criminali a storia ordinaria (e purtroppo non inconsueta) di incapacità medica. I quattro pazienti defunti sotto i ferri non furono omicidi volontari ma preterintenzionali: Brega sapeva che gli interventi avrebbero avuto impatti pesanti e non necessari, che quegli organi sezionati o asportati avrebbero condizionato per sempre la vita che restava ai suoi pazienti. Ma non ha mai voluto che morissero. La Corte d'assise d'appello presieduta da Giuseppe Ondei gli concede le attenuanti generiche, e soprattutto lo scagiona dall'aggravante di avere agito a fini di lucro.
È in un carcere di alta sicurezza
da dieci anni, sta finendo di scontare la condanna per le lesioni a una serie di pazienti sopravvissuti ai suoi ferri. Se la sentenza di ieri diverrà definitiva, tra una manciata di anni tornerà ad assaporare la libertà.
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