«Facite 'a faccia feroce». Davanti alla marea montante del protezionismo, val la pena rifarsi a un classico del periodo borbonico-partenopeo. A Donald Trump, che toglie le ragnatele da pratiche commerciali del Giurassico come i dazi, si risponde con minacce di ritorsioni più false di una banconota da un euro. Perché, in fondo, tutto dipende da chi dovrà sopportare - e in che misura - il giro di vite tariffario deciso dal tycoon. Lui, al momento, ha «graziato» Canada e Messico, confinanti da tenere buoni per non compromettere la riforma del Nafta voluta da Washington. Anche se esentare dalla gabella due Paesi che pesano per quasi il 26% sulle importazioni di acciaio e alluminio negli States, significa - già in partenza - diluire fortemente l'effetto desiderato di protezione delle industrie made in Usa.
Ma tant'è: la mossa ha subito scatenato una prevedibile reazione. Adesso tutti vogliono essere sganciati dalle trade tariffs. O, in subordine, ottenere quegli sconti promessi giovedì dallo stesso Trump sulla base del grado di amicizia verso gli Stati Uniti. Come sia possibile negoziare argomenti tanto delicati in appena 15 giorni di tempo, quanti ne devono passare prima dell'entrata in vigore della tagliola tariffaria, resta un mistero, ma intanto più o meno tutti mettono le mani avanti. Se per il gioco dei fusi orari Corea del Sud e Giappone hanno inaugurato la lista dei questuanti, certo l'Unione Europea non è stata da meno. Ha minacciato di rivolgersi all'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) e ribadito di essere pronta ad adottare una serie di misure di rappresaglia, già definite con la black list di prodotti Usa che verrebbero assoggettati a dazi. Poi, mentre Paolo Gentiloni esternava la posizione dell'Italia («I dazi non sono la via da seguire») al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, il suo vice Jyrki Katainen ha svelato il vero obiettivo: «L'Europa è l'alleato più naturale degli Usa sulla sicurezza» e «le nostre imprese non hanno fatto dumping su acciaio e alluminio nel mercato americano». E dunque? Semplice: deve «ottenere un'esclusione» dai dazi.
C'è inoltre un altro passaggio da non sottovalutare. Questo: «L'Ue deve essere trattata come un blocco», un unico soggetto «commerciale. Non possiamo accettare - spiega Katainen - che l'Ue venga divisa in diverse categorie». Questo «blocco unico» è lo stesso che, per esempio, non ha una politica comune sull'accoglienza dei migranti, ma sventolare la bandiera della comunità unita come un sol uomo adesso serve. Per un motivo. L'altro ieri Trump ha tirato in ballo la Germania, accusandola di «aver per anni approfittato di noi». Insomma: Berlino non solo non verrà esentata dai dazi, ma rischia di subirli a prezzo pieno.
Eppure, la risposta di Angela Merkel è stata più fiacca del do di petto di un cantante afono: «In questa fase va privilegiato il dialogo per evitare una guerra commerciale che nessuno vincerà». Neanche la faccia feroce.
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