Il Consiglio europeo di giovedì notte ha deciso infine di puntellare la resistenza ucraina con risorse prese in prestito piuttosto che ricorrendo agli asset russi congelati. Fra le due opzioni possibili ha scelto la meno antirussa e più filoamericana, ma anche la più europeista. A dimostrazione di come il mondo sia ben più complicato delle rappresentazioni che ne vengono date.
È ottimo che l'Unione europea abbia confermato a larghissima maggioranza il sostegno all'Ucraina. Eppur si muove, viene da dire: con fatica, il Vecchio Continente mostra di poter essere all'altezza delle sfide storiche. Come già era accaduto con il Covid, tuttavia, la complessa macchina europea produce decisioni risolutive solo a catastrofe imminente. Frena sempre all'ultimo istante, sull'orlo dell'abisso. E proprio questo contribuisce a spiegare come il nostro dibattito pubblico abbia usato il pericolo russo dal 2022 e quello americano nell'ultimo anno.
A farla molto breve, Vladimir Putin e Donald Trump sono stati agitati come uno spauracchio così da dimostrare che l'Unione europea è ormai prossima a precipitare nel baratro e spingerla finalmente all'azione. Possibilmente in direzione federalista. Il catastrofismo è diventato così lo strumento principe dell'europeismo. Sia ben chiaro: l'aggressività russa e il revisionismo americano pongono problemi tutt'altro che immaginari al Vecchio Continente, problemi d'importanza esistenziale. L'Europa deve davvero darsi da fare, e con urgenza. Solo, non è detto che sia saggio alimentare il già elevatissimo tasso isterico del dibattito pubblico profetizzando cataclismi. Né che lo sia l'insistere su accelerazioni federaliste oggi politicamente debolissime.
Le conclusioni del Consiglio europeo di giovedì mostrano proprio questo cortocircuito. Utilizzare gli asset russi congelati per finanziare la resistenza ucraina era la soluzione più sgradita non soltanto ai russi, ovviamente, ma pure all'amministrazione americana, ansiosa com'è noto di chiudere il conflitto. Invisa agli spauracchi Putin e Trump è potuta così apparire, ed è stata spesso presentata, come la più europeista. Ma non lo era, per almeno due ragioni.
Perché era giuridicamente azzardata, innanzitutto. Là dove l'Unione europea ha costruito la propria identità sul diritto, si presenta come una potenza normativa e ritiene che la capacità di produrre regole e rispettarle rappresenti il vantaggio principale di cui gode nella competizione globale. E poi perché doveva servire a evitare di cumulare ulteriore debito comune, soluzione sgradita ai paesi cosiddetti frugali, Germania in primis. Una posizione di cui si possono ben comprendere le ragioni, ma non certo ispirata da un afflato di solidarietà europea.
Scegliendo di non utilizzare gli asset russi, il Consiglio europeo ha conservato l'Unione fedele ai propri valori e le ha fatto muovere un passo in avanti in direzione di un'integrazione più profonda.
Ha seguito una linea gradita agli Stati Uniti e ha evitato di esacerbare ulteriormente il conflitto con la Russia.
E ha dimostrato quanto approssimative, in fin dei conti ideologiche, siano le categorie che usiamo per capire il mondo: d'accordo col governo sovranista italiano, l'odiatore-capo dell'Unione europea, Donald Trump, ha spinto verso una maggiore integrazione continentale superando le resistenze dell'europeista Friedrich Merz.