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Il decreto dettato dalla Cgil «I 5 Stelle sono il nuovo Pci»

Il provvedimento copiato da un documento del sindacato Infatti Landini e Leu esultano, mentre Forza Italia s'indigna

Qualche giorno fa, di fronte alle considerazioni abbastanza scontate del Bollettino della Bce sulla politica economica del governo - nulla di nuovo, se non una preoccupazione oltre livelli di guardia - a difendere le dichiarate posizioni «espansionistiche» dei Giallo-verdi erano scesi in campo i segretari confederali di Cisl e Uil. Ieri, il mai domo fiuto da vecchio cronista del portavoce di Forza Italia, Giorgio Mulè, ha aggiunto la ciliegina. L'articolo 50 della Carta universale dei diritti dei lavoratori, redatta dalla Cgil nel 2016, messo a confronto con uno stralcio del decreto cosiddetto «dignità» approvato dal Cdm, mostrava uno stupefacente senso di «sdoppiamento» (della personalità, dell'identità, chissà). Praticamente un «plagio», se non fosse che la circostanza è prova di convergenze ormai nell'aria e che al povero Mulè, così, non resta che tirarne le somme. «Salutiamo l'ingresso della Cgil al governo e diciamo addio al buonsenso. Il decreto in-dignità è stato dettato da Cgil e copiato spudoratamente da Luigi Di Maio: è un passo indietro mortale per le nostre imprese». Sbalordiva addirittura Raffaele Fitto (Noi con l'Italia): «Neppure il governo precedente sulle politiche del Lavoro ha sbandato così a sinistra!». E un deputato forzista, Roberto Caon, arrivava a concludere che i Cinquestelle «sono i nuovi comunisti».

Ora, volendo puntare sulla concretezza del buonsenso di Matteo Salvini - che sarà stato pure in gioventù un «comunista padano», ma di sicuro non aspira alla riedizione del «milazzismo» (caso unico nella prima Repubblica, fu la strana convergenza tra Msi e Pci nell'elezione del presidente siciliano Milazzo nel '58) -, si direbbe che la peculiarità di questa maggioranza sta proprio nell'essere fuori dagli schemi e steccati del passato. Eppure che la marcia di avvicinamento tra sindacati e governo sia in atto, è evidente. E se la leader Cgil Susanna Camusso cerca di tenere dritta la barca, conciliando le componenti pidine sul piede di guerra con quelle di sinistra filo-M5s, il segretario confederale Maurizio Landini va un passettino più in là. Camusso parlava di «discussione utile» ma «c'è tanto da fare», Landini era deciso ad ammettere che, anche se il tema del lavoro andrebbe affrontato in maniera più globale, però nel dl «dignità» ci sono «novità» che vanno nella «direzione giusta». Il messaggio all'alleato «scomodo» Salvini era chiaro: «Combatta il lavoro nero, non la pelle nera», diceva Landini, pur sapendo bene di commettere reato di populismo spicciolo. Ma la situazione è in movimento, visto che anche l'ex capogruppo del Pd alla Camera, Roberto Speranza, uno dei giovani leader di Leu, comincia ad avere pruriti. «Sono un uomo di sinistra», comincia retoricamente una sua lettera pubblicata ieri dall'Huffington post. E nonostante rivendichi di aver denunciato il ministro dell'Interno per «istigazione all'odio razziale» (la vicenda del censimento dei rom), Speranza separa il grano dal loglio. «Con la stessa chiarezza voglio dire che non avrò in Parlamento un atteggiamento pregiudiziale nei confronti del dl dignità». Opposizione intelligente, così la definisce, «significa che occorre saper distinguere». La Lega è una cosa, M5s un'altra. Non è un caso che su questa «disarticolazione» del fronte unito dalle poltrone di governo abbiano cominciato a puntarci in parecchi.

Soprattutto dalle parti del Pd, come chiariva l'altro giorno Nicola Zingaretti candidandosi a guidarlo e rifondarlo. La sinistra dunque si fa aratro e tenta di aprire il solco. Chissà se lo spadone di Alberto da Giussano sarà ancora lì, pronto a difenderlo.

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