La bonomia di Paolo Gentiloni è tale che risulta difficile rimproverargli eventuali «bugie». I suoi toni sempre gentili, la voce sempre fioca, l'aria sempre innocua sembrano fatti apposta per rendere ogni contestazione nei suoi confronti irrimediabilmente fuori luogo.
Eppure ieri nella conferenza stampa di fine anno Gentiloni non ha sempre detto la verità e su questo non si può soprassedere. «Sul deficit credo che l'Italia abbia le carte più che in regola», ha dichiarato trascurando un importante dettaglio: non sono stati rispettati i target di riduzione che prevedevano una correzione strutturale dello 0,3% del Pil l'anno prossimo. In primavera, ancorché gli obiettivi possano essere centrati grazie a una crescita un po' più robusta, si rischia una manovra correttiva da 3,5 miliardi. Insomma, dire che «siamo in regola» è un azzardo matematico. In questo senso Gentiloni condivide il «peccato originale» di Renzi avendone confermato i bonus a pioggia nella manovra.
Non meno fantasioso è il concetto di «credibilità guadagnata» con chiaro riferimento al consesso internazionale. Prescindendo dal fatto che in Europa l'Italia continua, oggi come ieri, i diktat tedeschi, soprattutto in tema di regolamentazione bancaria e tutti i disastri che ne conseguono, c'è molto altro da dire. È difficile ritenere credibile un premier che afferma come «siamo andati molto bene» nell'assegnazione dell'Ema, l'Agenzia europea del farmaco, assegnata ad Amsterdam perché l'Italia ha giocato male le sue carte con i big del Continente. È complicato ritenere credibile un Paese che in campo geopolitico non sempre è riuscito a difendere i propri interessi stringendo un accordo con la Libia per contenere i flussi migratori (e le pratiche poco trasparenti delle Ong) solo dopo che l'Europa si è sottratta alle intese sui ricollocamenti. E non minori interrogativi si accavallano sull'opportunità di accompagnare la Francia nel peacekeeping in Niger. Però siamo credibili.
Gentiloni ha difeso la propria azione di governo sottolineando che «sarebbe stato grave e devastante arrivare a interruzioni traumatiche ed esercizi provvisori». La legge di Bilancio 2017 fu approvata prima del suo insediamento. Certo, mancava la legge elettorale causa bocciatura del referendum, ma in teoria la legislatura si sarebbe potuta concludere prima se, almeno inizialmente, Gentiloni non fosse stato ostaggio del revanscismo renziano che puntava a «riprendersi» il Pd prima di tuffarsi nella contesa elettorale.
Molto singolare anche il concetto di «sinistra di governo al servizio del Paese» utilizzato dal presidente del Consiglio per sintetizzare l'esperienza comune del quinquennio retto dagli esecutivi Letta e Renzi oltreché dal suo.
Sorvolando per carità di patria sulla carenza di legittimazione elettorale, è naturale dubitare della capacità di governo di una sinistra che si è caratterizzata per palesi conflitti di interessi (vedi alla voce «Boschi-Etruria») e che oggi non riesce a imporsi contro il governatore piddino Emiliano che minaccia di far chiudere la più grande acciaieria d'Italia.
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