Il cancello blindato si apre, nella canicola dell'estate romana, e appare Marcello Dell'Utri. Un camicione verde, una piccola borsa: il resto del bagaglio, i libri e gli oggetti che gli hanno fatto compagnia in questi anni di carcere, sono già fuori, su un carrello. Pochi passi, gli abbracci ai figli, agli avvocati. Per la prima volta da molti anni, gli agenti della «penitenziaria» stanno a distanza. Dell'Utri non è un uomo libero. Ma nei pochi metri di marciapiede, nei pochi passi prima di infilarsi in auto, assapora un brandello di libertà. E l'auto che si allontana dal carcere viaggia senza scorta, un'auto qualunque per le strade di Roma, verso la casa di Marco, il figlio. La camera degli ospiti sarà la sua nuova cella, fino almeno al 28 settembre, quando i giudici di sorveglianza prenderanno una decisione definitiva.
«Non ci speravo più», dice l'ex senatore. Ed in effetti le speranze di un provvedimento d'urgenza che gli consentisse di curarsi fuori dal carcere erano esigue: nell'ultima udienza la Procura di Roma era tornata a rifiutare ogni concessione, «non sta poi così male, e poi è pericoloso», aveva detto il pm. Certo, sul tavolo dei giudici c'erano carte che dimostravano il contrario, soprattutto sul fronte delle condizioni di salute: il tumore alla prostata, l'ipertensione, e soprattutto il cuore: ma finora i giudici si erano sempre allineati ai voleri della Procura, anche quando i consulenti medici degli stessi pubblici ministeri avevano certificato l'incompatibilità del carcere con le cure di cui Dell'Utri ha bisogno. Chiuso nella sua cella nel reparto di alta sicurezza, il detenuto anziano e malato si aspettava un nuovo no. E aveva già fatto sapere che a quel punto avrebbe mollato il colpo, avrebbe rifiutato di continuare a curarsi male e sotto scorta. «Preferisco la morte alla tortura», aveva detto. Invece il tribunale di sorveglianza, con un provvedimento d'urgenza, gli schiude le porte del carcere. Sono passati quattro anni e ventitré giorni dalla mattina in cui il volo AZ 827 da Beirut lo aveva scaricato al posto di polizia di Fiumicino, prima tappa della espiazione della sua condanna.
Dell'Utri non è libero. Significa che non può rispondere al telefono, può parlare solo con i figli, il nipotino, la moglie Miranda. Ma significa anche che ogni giorno nella casa di Marco è un giorno di pena scontata, un passo in più verso la fine della sua condanna. Il reato di concorso esterno in associazione mafiosa impedisce a Dell'Utri di accedere alle misure alternative come la semilibertà e il lavoro esterno, ma - vista la buona condotta tenuta in carcere - gli garantisce comunque la liberazione anticipata, lo sconto di pena di quarantacinque giorni ogni sei mesi. A conti fatti, Dell'Utri dovrebbe tornare libero tra l'ottobre e il novembre del prossimo anno. «È vicino a vedere la fine del tunnel», commenta il suo avvocato Simona Filippi: soprattutto se a fine settembre il provvedimento di detenzione domiciliare venisse confermato dal tribunale.
In questa fase, la Procura non può impugnare la decisione dei giudici, ma dopo l'estate, in occasione della nuova udienza, nulla impedirà ai pm di invocare il ritorno in cella di Dell'Utri.
Nel frattempo, l'ex senatore si prepara ad affrontare medici e i chirurghi, a partire dai tre stent che dovrà piazzarsi: e non sarà una passeggiata, per un fisico segnato dalla radioterapia. Ma potrà farlo senza scorta, senza vincoli, e così anche per le visite. Basterà avvisare. Sembra poco, ma per lui è molto.
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