Il deputato filo profughi non paga da cinque anni la portaborse italiana

Chaouki (Pd) non versa i contributi alla sua assistente: «Ma ora sistemo tutto con Equitalia»

Il deputato filo profughi non paga da cinque anni la portaborse italiana

Khalid Chaouki digiuna per lo ius soli, la sua assistente invece digiuna sui contributi previdenziali, nel senso che il deputato Pd si è dimenticato di pagarglieli dall'inizio della legislatura ad oggi, cioè da quasi cinque anni (fanno 12.500 euro non versati dall'onorevole dem di origini marocchine, coordinatore dell'intergruppo parlamentare sull'immigrazione). «Con la mia assistente parlamentare ho un rapporto di amicizia oltre che di collaborazione da almeno dieci anni ed era sempre a conoscenza del ritardo nel pagamento dei suoi contributi - ci spiega Chaouki via WhatsApp - Prima dell'estate abbiamo concordato un piano di rientro e ad oggi lei continua a lavorare con me nel massimo della fiducia e stima reciproca». Tutto regolare? Un semplice ritardo? Mica tanto, visto che la vicenda è protocollata al Tribunale di Latina, dove l'assistente ha fatto ricorso per farsi pagare dall'onorevole i contributi arretrati, come racconta Thomas Mackinson sul Fattoquotidiano.it.

Finora Chaouki non si è presentato alle udienze, tanto che è stato dichiarato contumace dal giudice. Un comportamento sorprendente per un campione dei diritti civili, e paladino dei migranti, come Chaouki. Sarà che l'assistente non è una profuga dall'Africa, ma una italianissima esperta di comunicazione politica, però i contributi sono dovuti per legge. E infatti, se non si è costituito nel giudizio civile il deputato Pd, lo ha fatto l'Inps, che ha anticipato i contributi figurativi. Chaouki ha già incassato un decreto ingiuntivo per pagare la tredicesima mensilità della collaboratrice, che evidentemente si era scordato di versare. Per i contributi passati, invece, è già fissata un'udienza il 20 febbraio 2018. È possibile che non ci si arrivi, visto che le parti si stanno accordando per una transazione che chiuda il contenzioso. «Tutto il fascicolo dovrebbe essere già chiuso o verrà annullato appena Equitalia notificherà al tribunale il piano» spiega il deputato Pd. Insomma, dopo la causa civile, l'avvocato della collaboratrice ha concordato con Chaouki un «piano di rientro» dei soldi mai versati, per sanare tutta la vicenda e chiudere il procedimento al Tribunale di Latina.

A quanto pare, il deputato originario di Casablanca (emigrò con la sua famiglia in Italia all'età di nove anni), è stato tradito dal Jobs Act partorito dal governo Pd. Con l'allettante prospettiva dei contributi pagati dallo Stato, Chaouki ha assunto la sua assistente dopo due anni di contratti a progetto, pensando che non ci fossero oneri previdenziali a suo carico. Sbagliato. Una volta appresa la notizia, però, Chaouki non ha pagato, fino ad arrivare in Tribunale e ora, a quanto pare, ad una cartella di Equitalia che chiuderà la vicenda.

Mica tanto in amicizia, tra aule di tribunale e decreti ingiuntivi. Un colpo basso anche per il grande sponsor politico di Chaouki, l'ex ministra Livia Turco, che presiede la Fondazione Nilde Iotti di cui fa parte proprio l'assistente - senza contributi - del deputato. Che da domani, per tre giorni consecutivi, sarà a digiuno per protestare contro l'affossamento dello ius soli, perché «è ora che l'Italia riconosca i diritti». Non è la prima volta che Chaouki si immola per la causa migratoria.

Nel 2013, da poco eletto, si barricò nel centro di accoglienza di Lampedusa, con una borsa con tre cambi di biancheria e l'impegno di rimanerci dentro ad oltranza, o almeno fin quando «non sarà ripristinata la legalità» verso gli immigrati del Cie (ci resterà poi solo qualche giorno). Suo anche il merito di aver scoperto Cécile Kyenge e averla lanciata - insieme alla Turco - come ministro del governo Letta. Innumerevoli i suoi contributi, a parte quelli previdenziali.

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