Il derby Talebani-Isis nel segno della jihad

Emirato islamico contro Stato islamico. Lettera di fuoco: «Non immischiatevi nei nostri affari»

Emirato islamico contro Stato islamico. La pervasività degli estremisti che in pochi mesi hanno conquistato vasti territori in Siria e Irak infastidisce e forse spaventa i più stagionati rappresentanti del jihad: i talebani. È di martedì una lettera che i vertici dell'organizzazione afghana hanno messo sul proprio sito in diverse lingue regionali: urdu, pashto, dari e arabo. Il mittente è Akhtar Mohammad Mansour, numero due dei talebani dell'Afghanistan - l'Emirato islamico, come gli stessi definiscono il Paese. La lettera aperta è indirizzata al leader dello Stato islamico, Abu Bakr Al Baghdadi, con un messaggio non troppo velato: non immischiatevi nei nostri affari o ci saranno ripercussioni.

L'Emirato scrive di permettere la battaglia «contro gli invasori stranieri» - che i talebani portano avanti tra Afghanistan e Pakistan dal 2001 - soltanto sotto la sua leadership. La missiva sembra criticare l'operato degli estremisti di Siria e Irak in maniera generale, ed è un raro scorcio nel sistema di comando e nelle lotte di potere del terrorismo islamico: «Gruppi jihadisti in medio oriente lottano per l'islam e hanno la propria struttura e organizzazione. Se il vostro interferire nei loro affari crea divisione, causerà spargimento di sangue tra le organizzazioni... - è scritto - L'Emirato islamico non considera la molteplicità dei ranghi jihadisti come benefica per il jihad e per i musulmani».

E benché chi scrive sottolinei come l'organizzazione sia «basata sulla fratellanza religiosa» e si appelli «alla buona volontà» di Isis nel non interferire nei suoi affari, la lettera contiene una chiara minaccia, carica della possibilità di futuri scontri: «La vostra decisione presa a distanza risulterà nella perdita di sostegno tra scolari religiosi, mujahideen... e per difendere i nostri risultati saremo obbligati a reagire». La messa in guardia in arrivo dai vertici talebani coincide con l'aggravarsi di faide interne al movimento afghano. Una parte della leadership infatti crede nel perseguimento di negoziati di pace con il governo - alcuni rappresentanti martedì erano a Oslo, in Norvegia, per colloqui con i politici -, mentre altri comandanti sostengono la linea della scontro permanente. E in tutto questo, si è inserito lo Stato islamico. Sono stati diversi infatti i resoconti giornalistici che nei mesi scorsi hanno spiegato come diversi capi talebani - galvanizzati dalle sue conquiste territoriali - abbiano giurato fedeltà al più giovane gruppo jihadista. Lo stesso comandante di quello che resta delle forze Nato in Afghanistan, il generale John Campbell, ha rivelato che lo Stato islamico recluta nella regione, ma che non sarebbe ancora attivo. Eppure, nelle scorse ore la France Press ha scritto di scontri tra miliziani nella provincia orientale del Nangarhar che avrebbero obbligato centinaia di famiglie ad abbandonare le proprie abitazioni. La ragione delle violenze sarebbe la decisione - opposta da altri - di alcuni comandanti talebani di spostarsi nei ranghi di Isis, i cui numeri però nel Paese resterebbero ancora molto bassi.

Lo stesso gruppo - che ha ribattezzato Pakistan e Afghanistan nei mesi scorsi Khorasan, dal nome di una regione storica che comprendeva Turkmenistan, Iran e Afghanistan, non ha mai ufficializzato la sua presenza nell'area.

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