Politica

Destra e Sinistra. Forti perché deboli.

Le due vecchie categorie del 900 sono due cadaveri, ma in salute. Contenitori cosi evanscenti che non possono contenere tutto.

Destra e Sinistra. Forti perché deboli.

All'inizio degli anni Novanta, il politologo francese Marcel Gauchet per primo si decise a verificare se la dicotomia destra-sinistra avesse ancora senso. Quel «per primo» è, naturalmente, una forzatura, perché la negazione e/o il superamento dei due termini, le loro proficue e/o nefaste contaminazioni, avevano in fondo attraversato tutto il secolo e, specie negli anni Ottanta, si erano come avvitate in un nuovismo che nel suo volerle modernizzare, una «nuova destra, una «nuova sinistra», finiva paradossalmente per radicalizzarle. Nel panorama che Gauchet si trovava però di fronte, c'era un elemento del tutto inedito, ovvero la caduta del Muro di Berlino, con la conseguente disintegrazione dell'Unione Sovietica, ovvero il venir meno di uno dei pilastri, quello comunista-collettivista, che maggiormente aveva contribuito al mantenimento del termine «sinistra».
Suo corollario, sul versante opposto, era che da un lato la destra si ritrovava senza l'elemento principale di quell'antitesi che meglio permetteva il suo configurarsi, «l'anti» che spesso e volentieri caratterizza meglio del «pro»; dall'altro che il vento nuovo di una globalizzazione nel nome di una non meglio identificata «fine della storia», metteva la sordina a ciò che di più conservatore e/o reazionario c'era al suo interno, favorendo così l'indebolimento del fattore politico a petto del rafforzamento del fattore economico.
Da allora, nota oggi Gauchet, ripresentando e attualizzando trent'anni dopo quel testo (Destra Sinistra. Storia di una dicotomia, Diana edizioni, pagg. 156, euro 15; traduzione e introduzione di Marco Tarchi), tutto sembrerebbe essersi mosso nell'ottica dell'archiviazione definitiva dei due termini: «Un numero importante di elettori dichiara superato lo spartiacque e si rifiuta di orientare il proprio voto in funzione di esso. Si sono sviluppate forze nuove, come i movimenti ecologisti o i movimenti populisti, che sconvolgono i punti di riferimento classico e trasgrediscono le divisioni di stabilità»... Eppure, destra e sinistra continuano a tenere banco e, singolarmente, tanto più lo tengono quanto più i loro contorni si fanno evanescenti, sfumati, e i loro contenuti appaiono svuotati. Com'è possibile? Che cosa c'è sotto?
Gauchet propone più risposte. La prima è che «la forza di questa contrapposizione è la sua debolezza: presa alla lettera, non vuole dire niente, è vuota, poiché si accontenta di situare delle opzioni concrete in uno spazio astratto». Detto in altro modo, in un regime rappresentativo retto dal principio di maggioranza, l'indeterminatezza dei due termini permette di «arrangiare in maniera versatile» le opzioni delle varie formazioni politiche: «partito della conservazione/partito del progresso; partito dell'ordine/partito del movimento/; partito della nazione/partito del popolo; partito della libertà/partito dell'eguaglianza». Si colorano così di identità forti etichette di fatto deboli.
La seconda risposta è più articolata, perché va a indagare all'interno di ciascuno dei due termini, verificandone il riposizionamento rispetto a ciò che erano. Partiamo da sinistra, dove il socialismo si era andato costruendo sulla collettivizzazione del sistema di produzione, nella sua variante rivoluzionaria, dove il comunismo si associava alla dittatura del proletariato, o in quella riformista, dove la socialdemocrazia controllava le principali leve dell'economia, la sua gestione pubblica preferibile all'anarchia dei mercati. Tutto questo è stato spazzato via dalla «marcia del mondo» nota Gauchet, al punto tale che, tralasciando i modelli cubano-coreani, l'unico sistema comunista rimasto significativamente in vita, quello cinese, usa per la sua crescita l'ossimoro di «socialismo di mercato». Tuttavia, è proprio la variante social-democratica, apparentemente vincitrice nel mondo occidentale rispetto a quella comunista, ad aver perso l'identità che le era propria, ovvero la propria anima e la propria ragion d'essere, visto l'imperante «primato del dogma della superiorità della gestione privata e delle soluzioni di mercato». Ciò che le è rimasto, avendo accettato, perché considerate più efficaci, politiche neoliberali di privatizzazione e deregolamentazione, non è altro che il tema della «redistribuzione sociale», ovvero «una compensazione ai propri limiti sul terreno economico con politiche societarie a favore delle minoranze e delle cause identitarie. In questa rinuncia economica e in questa riconversione culturale ha perso una gran parte del sostegno degli ambienti popolari che costituivano il suo elettorato naturale. Da ciò è derivato il suo inesorabile indebolimento». La sua variante, tralasciando le istanze freak, il radicalismo comunista allo stato brado, è la cosiddetta «sinistra morale», tranquillamente presente all'interno della stessa «sinistra di governo» e per la quale vale la definizione napoletana della cosiddetta zoccola maltese, ovvero quella «che chiagne e fotte»...
Non è che sul versante della destra le cose però siano andate meglio. Se qui, un tempo, le famiglie dei liberali e dei conservatori avevano come solido collante l'anticomunismo e l'anticollettivismo, la loro scomparsa e le ricadute politiche e sociali della globalizzazione liberista hanno finito con il risvegliare delle tendenze centrifughe. «L'evoluzione dei costumi e dei rapporti sociali sotto il segno dell'edonismo e del libertarismo si è scontrata frontalmente con l'attaccamento all'autorità e ai valori familiari». Ancor più profondamente, «la rimessa in discussione della sovranità degli Stati e dello stesso quadro nazionale attraverso la globalizzazione dell'economia, il libero scambio e la libera circolazione delle persone ha riattivato l'appello al primato del politico». In questo campo, nota sempre Gauchet, «la questione dell'immigrazione ha assunto un rilievo cruciale» a cui la contemporanea evoluzione «in senso liberale della sinistra di governo» ha permesso «le condizioni di una convergenza al centro che ha reso obsoleto il vecchio spartiacque agli occhi dei liberali più intraprendenti. Una trasgressione delle frontiere che non ha mancato di suscitare di converso la rimobilitazione di una vera destra sul versante conservatore».
Insomma, la globalizzazione ha frantumato entrambe le identità, la destra non meno della sinistra. Certo, per la prima non c'è stato il dover prendere atto della «morte di una grande speranza», e inoltre, avendo il pragmatismo nel suo Dna, ciò finisce per limitarne i dissensi ideologici. Ma, sul piano della sensibilità profonda, la confusione resta, e non è di poco conto.
A complicare i riposizionamenti delle vecchie dicotomie, restano ancora, secondo Gauchet, due elementi. Il primo riguarda l'ecologismo, ulteriore lacerazione interna della sinistra a petto della sua «deriva liberal-produttivista» e che è una sorta di riciclaggio dell'anticapitalismo e della «schiavitù salariale» nell'ottica di una lotta contro i danni inflitti all'ambiente dalla società industriale. Nella sua variante antimoderna, nel suo rifiuto di un «produttivismo cieco» essa è allergica tanto alla destra liberale quanto alla sinistra progressista...
Il secondo è il populismo, che dal nazionalismo autoritario e tradizionalista degli inizi si è tramutato in una sorta di «sovranismo sociale che è arrivato al punto di far assumere al discorso populista la funzione tribunizia che un tempo era svolta dai partiti comunisti». Qui, lo spartiacque che contrappone il popolo patriota e le élites mondializzate, fa il paio con la sua variante più di sinistra che denuncia i guasti della globalizzazione capitalista, «una convergenza politica inedita delle aspirazioni e delle lotte popolari» conclude Gauchet.
Alla fine di questa cavalcata, Gauchet sostiene che in fondo la persistenza dei due termini è dovuta al «ponte invisibile che getta fra l'individuo e la sua comunità politica», un qualcosa che permette di perpetuare «l'identificazione ad essa, al di là della separazione degli esseri e della dissoluzione degli elementi della società». Un totem binario di riconoscibilità, insomma, cui rifarsi in mancanza di altro. Resta la sensazione che si tratti di due «cadavres exquis», per dirla in francese. Ovvero di «due cadaveri in buona salute». Covid19 permettendo..

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