Per installare e riparare vasche e docce «no tecnici extracomunitari», annuncia uno spot. Ed è polemica, ma l'azienda si difende: «Ce lo chiedono i clienti».
È diventata un caso la pubblicità ideata da una ditta di Potenza Picena, nel maceratese, per promuovere il progetto «Vasche e docce». Titolo anonimo, che non sarebbe mai entrato nella storia del marketing se la réclame, rilanciata da un'emittente televisiva, non avesse attirato le scomuniche dei sacerdoti del politically correct .
Il fatto: sul piccolo schermo, da agosto, va in onda un filmato di appena 34 secondi. Semplice, senza pretese. Perché come spiega l'amministratore della società, Emanuele Poliero, «più che spendere in pubblicità preferiamo offrire il miglior servizio possibile». Le immagini, una sequenza di foto cucite alla meno peggio, scorrono rapide per promuovere «la trasformazione da vasche a docce» e «la sostituzione di vasche per anziani e disabili». Al secondo 27 la scarica di adrenalina che scuote dal torpore. Con la voce fuori campo a leggere le scritte in sovrimpressione: «Operiamo in tutta Italia con tecnici della tua zona a km 0». Quindi, a rafforzare il concetto autarchico: «No materiali cinesi. No tecnici extracomunitari».
Sei parole. Sufficienti a scatenare la reazione degli indignati, tracimata in mail e telefonate di protesta. «È una qualità del manufatto il fattore etnico?», chiedono i più. «Forse africani, australiani ed americani sono meno bravi?», insistono altri. In filigrana, una considerazione comune: «Riteniamo si tratti di un messaggio promozionale a fortissima connotazione razzista». Accuse che però l'azienda, dal proprio sito internet, respinge. «Non dirmi che ti fa più piacere ricevere in casa un ragazzotto che proviene dall'Est o da dove si voglia dire - scrive Poliero - piuttosto che un tecnico che parla il tuo stesso dialetto! Significa che sei razzista?». Archiviati gli sfottò, la riflessione vira sulla serietà: «Indicare tecnici a chilometro zero vuol dire garantire interventi efficaci in tempi brevi da parte di persone di cui ci si può fidare». Il fattore fiducia legato al colore della pelle o alla lingua parlata non acquieta l'indignazione. Poliero allora tira fuori altri argomenti: «La concorrenza usa manodopera extracomunitaria, perché lavora bene ma soprattutto lavora tanto. E questo non è approfittare del bisogno altrui? O mancanza di cura necessaria per fare un buon lavoro? Se succedesse a casa vostra, lo gradireste?». In ogni caso, se pure la scelta fosse da ritenersi discriminatoria, lascia intendere l'imprenditore marchigiano, di razzismo dovrebbero essere tacciati gli italiani. «La frase tanto discussa - è la precisazione - è scaturita da un'indagine di mercato svolta su famiglie e potenziali clienti interessati a una vasca comoda o alla trasformazione da vasca in doccia, che hanno apertamente dichiarato di non gradire tecnici non italiani».
In sostanza, l'azienda - per come le regole del mercato d'altro canto impongono - si sarebbe mossa assecondando le tendenze e i gusti dei consumatori. Nulla più. «Quello spot è nato da una necessità commerciale», ribadisce Poliero, prima di tornare al contrattacco: «Razzisti noi? Ma se abbiamo validi dipendenti extracomunitari.
Il nostro unico obiettivo è risolvere i pericoli dei bagni dei clienti».Missione delicata: il bagno è tra i luoghi in cui gli italiani passano più tempo. Quasi un'oasi. In molti casi, l'unica. Saranno padroni di far entrare, almeno lì, chi vogliono loro?
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