Sguardo basso, vestita di scuro, con i capelli raccolti e un trucco evidente: al suo arrivo nell'aula della Corte d'assise di Milano Alessia Pifferi viene assalita dai fotografi.
Ieri era il giorno d'inizio del processo in cui la 37enne è accusata di omicidio volontario pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti la figlioletta Diana, di soli 18 mesi. La donna era presente alla prima udienza e presente era anche sua sorella Viviana, la zia della bimba. «Diana era la bambina più bella del mondo - ha detto - aveva diritto di vivere. Non si meritava tutto questo. Mia sorella deve pagare per ciò che ha fatto, noi lotteremo perché Diana abbia giustizia». Viviana Pifferi indossava una t-shirt con stampata sul davanti la foto della nipotina.
La prima udienza del processo, dove l'accusa è rappresentata dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, si è conclusa in pochi minuti e il dibattimento è stato rinviato al prossimo 8 maggio. La Corte presieduta dal giudice Ilio Mannucci Pacini ha concesso infatti al legale nominato da poco, l'avvocato Alessia Pontenani, più tempo per preparare la difesa. Nei giorni scorsi infatti Pifferi ha cambiato difensore, poi ha provato a richiamare il primo avvocato, che però alla fine ha rinunciato al mandato.
Ora l'imputata è assistita dall'avvocato Pontenani, la quale ha chiesto appunto i termini a difesa. Essendo stata nominata di recente e non avendo potuto seguire la fase delle indagini preliminari, ha bisogno di studiare gli atti. I giudici hanno acconsentito, considerata la «delicatezza e complessità del procedimento». Alla prossima udienza, come ha spiegato l'avvocato Emanuele De Mitri che le assiste, Viviana Pifferi e Maria Assandri, zia e nonna della vittima, si costituiranno parte civile nel processo contro la sorella e figlia. Non è noto invece chi sia il padre della piccola, che viveva sola con la madre in un appartamento del quartiere Ponte Lambro.
Alessia Pifferi si trova in carcere da fine luglio scorso. È accusata di aver abbandonato in casa la figlia per sei giorni senza il necessario per vivere. Mentre la 37enne trascorreva il tempo nell'abitazione del compagno in provincia di Bergamo. A lui aveva raccontato che la bambina era affidata alla zia. All'esito dell'inchiesta affidata alla Squadra mobile la Procura ha contestato ad Alessia Pifferi sia l'aggravante della premeditazione sia quella di aver ucciso la figlia per motivi futili e abietti. La piccola Diana, lasciata nel lettino con accanto solamente un biberon di latte e una bottiglietta d'acqua, è morta di sete e di fame. Era, scrivono i pm nell'imputazione, «priva di assistenza e assolutamente incapace, per la tenerissima età, di badare a se stessa, senza peraltro generi alimentari sufficienti e in condizioni di palese ed evidente pericolo per la sua vita, pure legate alle alte temperature del periodo».
Quei giorni di luglio erano molto caldi e le finestre dell'appartamento erano tutte chiuse, forse per evitare che qualcuno sentisse Diana piangere. Una condizione che causò «nella minore una forte disidratazione» che la portò alla morte. La 37enne rischia la condanna all'ergastolo. Aveva provato a chiedere il rito abbreviato, che dà diritto alla riduzione di un terzo della pena, ma l'istanza è stata respinta sulla base della legge che dal 2019 esclude l'abbreviato per i reati punibili con l'ergastolo.
La difesa potrebbe puntare su un'istanza di perizia psichiatrica per valutare un eventuale vizio di mente al momento dei fatti. Il processo, ha spiegato il presidente della Corte d'assise, sarà trattato «tra la seconda metà di giugno e la prima metà di luglio» e si potrebbe chiudere anche prima dell'estate.
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