Il dibattito: "Giusto raccontare i dettagli". "No, così facciamo un assist ai fanatici"

Sgarbi: "Applicherei una censura". Il sociologo: "Ma oggi è impossibile"

Il dibattito: "Giusto raccontare i dettagli". "No, così facciamo un assist ai fanatici"

Il film dell'orrore che va in scena sul ponte di Westminster. È un attimo. La notizia che arriva e rimbalza, si propaga e si dilata. Raggiunge ogni angolo del mondo. Dirette televisive, prime pagine di giornali, edizioni speciali, approfondimenti, grafici e plastici a spiegare, a contestualizzare, talk show con ospiti esperti a commentare. La potenza della cassa mediatica che pompa eccitazione, che alimenta orrore. Terroristi in cerca di legittimazione che raggiungono l'obbiettivo. E così Londra come Anversa il giorno dopo, ancora un'auto che cerca passanti da investire. Ancora un cane sciolto, come li chiamano: criminali domestici che non hanno più bisogno di andare nei campi di addestramento in Siria. Fanno da soli seguendo le indicazioni della rete. Ancora emulazione. «E noi stacchiamogli la spina, non diamo la notizia, neutralizziamo l'effetto pubblicitario, di imitazione è la nostra unica controffensiva che possa essere efficace». I toni acuti di Vittorio Sgarbi servono a lanciare una provocazione che fa riflettere. «Non darei la notizia. Quando non si tratta di una strage allora depotenziamo, manipoliamo l'informazione. Sono morte un paio di persone? Ebbene, diciamo che è successo per colpa di un incidente d'auto. Operiamo una censura di stato davanti a questi criminali divini, non diamo loro la soddisfazione, ridimensioniamo l'enfasi, reagiamo gelidamente. E non perché voglio sottovalutare ma neutralizzare l'effetto pubblicitario che incita altri ad agire nello stesso modo. Ormai viviamo in un film del terrore, viviamo come Israele. Anche perché non abbiamo difese militari capaci di contrastarli, solo armi mediatiche».

Maledetta rete, facile dire censura. Ma poi internet, twitter, i social network fanno il resto. «Ma quello che dico è sostenuto dal Parlamento europeo che ha revocato l'immunità parlamentare a Marine Le Pen e ha autorizzato la procura di Nanterre, in Francia, a procedere con l'indagine nei suoi confronti. Lei che aveva postato senza censura i video dei terroristi che sgozzavano. Ecco. Questa decisione sostiene il mio discorso. Il mondo ha già deciso in qualche modo di autocensurarsi. Noi dobbiamo seguire questa linea, e se possibile ridicolizzarli. Sai come rosicano se a guardare la tv scoprono che la notizia è stata derubricata a incidente stradale?». Il mondo delle informazioni liquide, senza frontiere, che cerca e trova adepti. Giovani islamici che inseguono una forma nichilistica di terrorismo, come ha scritto il sociologo francese Oliver Roy. Che secondo lui è il nulla, non è rivendicazione politica, non è un'idea, un programma. È puro atto di disperazione, alla ricerca di eco. «Certamente il loro obbiettivo è fare molto rumore, non ambiscono a provocare nessun effetto, non c'è una forma organizzata come è stato il nostro terrorismo degli anni '70. Non c'è lotta» dice il sociologo Mauro Magatti. «Cosa farei io? Darei la notizia perché ovviamente è impossibile al giorno d'oggi anche solo pensare di nasconderla. L'informazione deve essere data sempre ma senza quest'enfasi sproporzionata di cui gode oggi». Secondo lo studioso è come se la società dovesse ancora imparare a gestire emotivamente il fatto. Come se fossimo ancora vulnerabili, troppo emotivi, una società acerba che avrebbe bisogno di maturare e di responsabilizzarsi davanti ai fatti più raccapriccianti. «Proprio per evitare che ci sia l'effetto emulazione, in modo da togliere alla notizia questo aspetto di spettacolarizzazione così nocivo per noi». Ridurre e mitigare, antidoto al panico, all'istinto dall'altra parte di alzare il tiro. Equilibrio difficile da mantenere. È questa la strada giusta secondo il sociologo, l'unica per combattere anche le fake news, frutto di un mondo ipermediatizzato, in cui la realtà diventa un mondo di fantasmi in cui l'azione di un pazzo diventa un dramma universale in cui la paura rimane l'unica conseguenza a cui aggrapparsi.

E viene voglia di chiudere frontiere e confini. Come Trump. «Siamo passati da una mitologia cosmopolitica in cui tutto si deve muovere, alla mitologia dei muri, perché il nemico è alle porte». E se è disperato il nemico prova ad attaccare.

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