Coronavirus

Diego, operatore 118 morto per il lavoro "Il simbolo dei rischi di noi soccorritori"

Aveva solo 45 anni, la seconda vittima più giovane in Italia. Un collega accusa: «Ci chiamano per un mal di schiena, e quando è tardi scopriamo i sintomi»

Diego, operatore 118 morto per il lavoro "Il simbolo dei rischi di noi soccorritori"

Milano. «Diego? Povero ragazzo, povera famiglia. Siamo ammutoliti quando abbiamo saputo della sua scomparsa. Aveva appena 45 anni e lascia la moglie e una figlia. Purtroppo la sua morte per Coronavirus rappresenta la classica goccia che fa traboccare il vaso già colmo della nostra categoria, sempre in prima linea sul fronte del contagio. Sa quanta gente, dopo aver chiamato invano il numero verde, si rivolge a noi con una scusa qualunque, del tipo «ho il mal di schiena». E solo quando siamo all'interno delle loro abitazioni, e senza le dovute precauzioni, ci confessano che hanno la febbre. A quel punto però siamo già fregati. Le persone, i malati, prima o poi l'escamotage lo trovano se la strada ufficiale, quella che andrebbe percorsa, presenta falle così grandi. Infatti ci sono già 700 contaminati tra operatori sanitari, medici, infermieri, soccorritori».

Davide Brescancin parla concitato, non si trattiene. Dirigente Cobas Lombardia e autista soccorritore per l'Azienda sanitaria milanese, 43enne, nella notte tra venerdì e sabato ha perso un collega di soli due anni maggiore e come lui operatore tecnico ma alla Soreu di Bergamo, alla centrale operativa del 118 del «Papa Giovanni XXIII», l'ospedale al centro dell'emergenza. Il bergamasco si chiamava Diego Bianco ed è morto dopo essere stato contagiato dal Covid-19. Si tratta del secondo morto italiano più giovane dal momento dello scoppio del contagio nel nostro Paese (il primo è stato un disabile bresciano di 38 anni deceduto giovedì all'ospedale di Manerbio).

Già alcune notti fa la centrale operativa di Bergamo - che raccoglie le chiamate di emergenza anche da Brescia e Sondrio inoltrate dal 112 - era stata chiusa e sanificata, anche perché altri operatori avevano accusato sintomi ed erano rimasti a casa. Le chiamate erano state dirottate ad altre centrali lombarde. Tuttavia Diego Bianco a quel punto si trovava già in rianimazione e le sue condizioni continuavano ad aggravarsi con il passare delle ore fino a quando per lui non c'è stato più niente da fare. Così l'altra notte i medici, ormai impotenti, si sono trovati davanti alla moglie dell'uomo solo per comunicarle che era deceduto, che non sarebbe mai più tornato a casa con lei e la loro figlia, a Montello.

«Diego era un lavoratore preparato, un soccorritore che ha sempre utilizzato i dispositivi di protezione individuali, come mascherine e guanti, non era anziano e non aveva altre malattie - continua Brescancin con rabbia mista a dolore -. Purtroppo noi soccorritori, che siamo faccia a faccia con il contagio 24 ore su 24, non siamo in sicurezza, non disponiamo dei dispositivi integrali. Chiediamo in nome di Diego il massimo livello di protocollo di protezione, dispositivi integrali, come le tute, che però già sappiamo non ci sono per tutti. E l'inquadramento obbligatorio di ogni servizio come potenziale caso di Coronavirus. C'è troppa leggerezza».

«In casi di questa gravità i sanitari dovrebbero essere gli unici interlocutori dei politici - conclude Brescancin -. Questa malattia è ad altissimo contagio e porta a un deterioramento velocissimo. Non sappiamo dove Diego abbia preso il Covid, ce lo chiediamo in molti, magari non è stato contagiato al lavoro. Eppure ci sono fabbriche che domani hanno intenzione di riaprire in attesa dei presidi sanitari. Codogno è un esempio che da questa epidemia si può uscire.

Ma la fine veloce e terribile di Diego la potrebbero fare in molti tra noi (molti altri purtroppo l'hanno già fatta) se non chiudiamo immediatamente tutto, istituiamo un reddito di quarantena e fermiamo ogni tipo di produzione».

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