La difesa dell'eurodeputata: "Sono stupita, accusa assurda"

Per la forzista si è trattato di prestazioni professionali alla luce del sole. L'imprenditore: «Non c'è alcun reato»

La difesa dell'eurodeputata: "Sono stupita, accusa assurda"

«I o vado avanti con la mia campagna elettorale». Al termine di una delle giornate più difficili della sua vita politica, Lara Comi - milanese, trentasei anni, deputato europeo uscente e ricandidato nelle file di Forza Italia - confida agli amici la sua volontà di non mollare la battaglia. Dalla mattina la sua faccia è su tutti i siti, accostata all'inchiesta che da una settimana scuote la Lombardia, associata al reato-simbolo di Mani Pulite, l'accusa che quando lei andava alle elementari travolgeva i potenti della Prima Repubblica: finanziamento illecito dei partiti. Sono i soldi che tramite la sua Premium Consulting avrebbe preso da Marco Bonometti, re della Brescia metalmeccanica, cavaliere del Lavoro e presidente di Confindustria Lombardia; e così pure da altri due imprenditori.

Il primo a scoprire a mezzo stampa di essere finito nel registro degli indagati era stato, di buon mattino, Marco Bonometti; all'ora di pranzo tocca alla Comi. Nessuno dei due viene colto alla sprovvista. Bonometti era stato interrogato a lungo il giorno prima, e aveva colto l'avvicinarsi dei nuvoloni; la Comi sapeva di essere nel mirino già da sei giorni, quando si era scoperto che il suo nome compariva nelle carte insieme a quello di Nino Caianiello, uomo forte di Forza Italia a Varese, finito in cella insieme ad altri undici la mattina del 7 maggio.

Già allora si parlava di una consulenza sospetta alla Premium Consulting, la società di consulenze dell'eurodeputata. Ma nelle carte della Procura - ed è forse l'elemento che spiega meglio la determinazione con cui i pm l'hanno messa nel mirino - tra le righe si accusava la Comi anche di essere intervenuta per convincere al silenzio, consigliando che cambiasse avvocato, il principale «pentito» dell'inchiesta, l'ex sindaco di Lonate Pozzolo Danilo Rivolta. Perché la Comi si dava da fare? Questa è la domanda che i pm si sono posti.

Ieri, quando la marcia d'avvicinamento culmina con la sua incriminazione formale, la Comi reagisce secca: «Sono stupita, è una accusa assurda, non vedo perché avrei dovuto incassare di nascosto un finanziamento che avrei potuto ricevere alla luce del sole». Le consulenze per Bonometti, quelle che la Procura considera un paravento per versamenti sottobanco, per la Comi sono prestazioni professionali regolari, fornite da un società indicata anche nella dichiarazione per la trasparenza al Parlamento europeo (e in effetti è così, quadro D del formulario, categoria di reddito 3, ovvero «dai 1.001 ai 5.000 euro lordi al mese»). E lo stesso concetto viene ribadito da Bonometti, che si dichiara «convinto di non aver commesso alcun reato».

Di che consulenze si tratta? Negli ambienti investigativi si parla di un testo sulla «competitività delle piccole aziende di torrefazione di caffè»: tema assai lontano dagli interessi di Bomometti, e comunque - secondo le stesse fonti - affrontato copiando un testo da Internet. Se le cose stessero davvero così, è chiaro che si spiegherebbero le perplessità della Procura.

Ma gli entourage sia della Comi che di Bonometti negano, il primo report riguarderebbe l'«approccio strategico per la promozione del made in Italy», il secondo «l'approccio strategico per il settore automotive in Italia e in Cina e l'impatto delle auto elettriche», e qui siamo sicuramente più vicini al business di Bonometti, che nella sua azienda a Rezzato fa componenti per auto. Effettivamente il primo rapporto fa anche un accenno al mercato del caffè: ma da qua a essere tutto falso, spiega la Comi, ce ne corre.

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