Cronache

"Difficile gestire il tempo. L'ira nasce in pochi giorni"

La psicologa: all'inizio prevale la ragione, poi arrivano il nervosismo e la difficoltà ad accettare

"Difficile gestire il tempo. L'ira nasce in pochi giorni"

Cambiano le abitudini degli italiani, costretti in casa per cercare di arginare i contagi. Limitazioni non facili da accettare. «È importante non chiedersi quando finirà», raccomanda la psicologa Vera Slepoj.

Quali le maggiori difficoltà della permanenza forzata in casa?

«I primi giorni sono accettabili, perché trovandosi l'individuo in una condizione nuova cercherà di organizzarsi, di mettere in atto tutta una serie di risorse. Dopo lo choc e le paure iniziali ci sarà la fase molto più difficile e complessa che è quella della gestione del tempo».

Dopo una prima fase di adattamento, dunque, emergeranno situazioni più problematiche?

«Sì perché il nostro è un Paese che ha organizzato la vita quotidiana in modo dinamico, nel senso che non c'è più la famiglia o la storia della quotidianità dentro casa, le persone vivono per lo più fuori, per il lavoro, lo sport, gli hobby, la palestra, l'impegno per la pianificazione delle attività dei figli. C'è una struttura sociale basata sull'incapacità di stare fermi, di avere un tempo vuoto, di vivere la casa con le sue relazioni».

Ora tutto questo è stravolto.

«Ci troviamo in uno stato improvviso di impedimento del movimento, che era inteso come compensativo dell'incapacità sociale di vivere da soli, con sé stessi. Ora non abbiamo alternative se non misurarci con i nostri pensieri e guardare le cose per quello che sono».

Quanto possiamo resistere senza affanno reclusi in casa?

«Dipende dalla tipologia delle persone, chi ha vissuto una vita intensa i primi giorni razionalmente si organizzerà, poi però, tra 5 o 6 giorni, potrebbero cominciare stati di nervosismo, di irritazione, di difficoltà ad accettare. Non razionalmente, perché l'atteggiamento degli italiani è di accettazione, il problema è che la psiche ha meccanismi che non hanno a che fare con la solidarietà. Più un individuo si sforzerà di accettare, più dovrà mettere in atto un'energia per controllare il pensieri di come si viveva prima. Quello che la gente deve evitare è di pensare a quello che sta perdendo e a quello che faceva prima, lo riprenderà dopo. Per esempio io non sono d'accordo di dare messaggi ce la faremo, non dobbiamo nemmeno evitare che l'individuo possa sentirsi solo, disperato, altrimenti si creano due dimensioni, quella apparente in cui dico ce la faccio e poi quando sei a casa, da solo, cominci ad avere tutta una serie di sensazioni che devi poter gestire, devi accettare di avere paura».

Quindi è importante la consapevolezza che non sarà facile?

«Dobbiamo accettare che potremo avere delle difficoltà, che ci saranno fasi in cui avremo la sensazione che non ce la faremo e per questo dobbiamo attrezzarci per non trovarci disorganizzati. Guai se lasciamo che il tempo scorra aspettando che la cosa finisca».

C'è il rischio che esplodano dei conflitti?

«Si, ma è naturale, sono dei conflitti sani, non dobbiamo pensarlo come qualche nostra

incapacità, dobbiamo pensare che può avvenire, quello che porta ad uno scompenso psicologico è pensare che sarà semplice o che sarà esageratamente difficile. È una condizione che va affrontata, non ci sono possibilità alternative».

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