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"Digiunerò finché resisto. Il Colle intervenga sui quesiti"

Il vicepresidente del Senato Calderoli in sciopero della fame: "Referendum occasione storica, ma nessuno ne parla"

"Digiunerò finché resisto. Il Colle intervenga sui quesiti"

I dati sono sconfortanti: «Due italiani su tre non sanno che il 12 giugno si va al voto sui referendum che riguardano la giustizia».

E allora Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, da sempre nella pattuglia alla guida della Lega, ha deciso di venire allo scoperto: «Alle 23 del 31 maggio ho iniziato uno sciopero della fame. Solo acqua e due caffè al giorno, se riesco vado avanti così fino al 12».

Ma perché questa protesta?

«Perché è l'iniziativa non violenta più forte che io conosca. Non a caso l'ho presa in prestito da Marco Pannella che era un maestro della comunicazione».

Insomma, qual è l'obiettivo?

«Far cadere il muro del silenzio che avvolge questa campagna così importante per il Paese. Invece le grandi tv ignorano l'evento, nessuno ne parla e c'è davvero il rischio di sprecare un'occasione strepitosa di cambiamento».

Davvero i referendum sono importanti?

«Importantissimi. Sono un'occasione storica per riformare un sistema bloccato, ingessato, sempre lo stesso di trent'anni fa. Però sui principali canali lo spazio informativo dedicato a queste consultazioni non raggiunge l'1 per cento della programmazione. Meno di nulla e solo ora, dopo la proclamazione dello sciopero della fame, comincia ad andare in onda qualche servizio che spiega i temi e i nodi del dibattito. Ma siamo indietro, terribilmente indietro e di fatto è partita una rincorsa disperata».

Cose succederà se il quorum verrà raggiunto e vinceranno i sì?

«Una sonora vittoria del sì sarebbe un segnale all'establishment che in trent'anni non è stato capace di portare le migliorie e le modifiche necessarie. Eppure gli scandali, i giochi di potere, le storture del sistema sono sotto gli occhi di tutti».

La riforma Cartabia?

«Mi spiace ma peggiora il quadro. Prenda il Csm».

E allora?

«Il Csm, con tutto quello che è successo, doveva essere sciolto. Invece i consiglieri vanno avanti fino alla fine e la Cartabia ha trovato addirittura il modo di moltiplicare le poltrone che verranno spartite dalle solite correnti».

C'è poi il referendum sulla separazione delle funzioni.

«La Cartabia lascia la possibilità di un passaggio da pm a giudice; con il voto c'è la chance di chiudere anche questo varco e allora il sistema cambierebbe davvero».

La custodia cautelare?

«Questo è il Paese dei mille errori giudiziari l'anno, quasi tre al giorno. Questo è il Paese che spende 28,5 milioni l'anno per indennizzare le vittime delle ingiuste detenzioni e le vittime dei processi che non finiscono mai, altra piaga tricolore. Ma tutte queste questioni sono ignorate, sono fuori dal circuito del talk show, non esistono nel dibattito pubblico. Trent'anni di proposte, tentativi, dibattiti e proteste per le troppe cose che non funzionano non possono finire in questo modo. Dunque, avanti contro il partito della conservazione».

Chi ha messo la sordina al dibattito?

«Il blocco di potere che predica l'immobilismo. In particolare, la magistratura, o meglio, quel segmento delle magistratura associata che è sempre sui giornali e si oppone ad ogni timida innovazione, e poi a cascata pezzi della classe dirigente e della nomenklatura. In particolare il Pd, anche se per fortuna non tutto, per non parlare dei 5 Stelle che sembrano una corrente dell'Anm. Pure a destra, in verità, mi aspettavo più attenzione e sensibilità. In realtà la politica sembra aver paura della magistratura, una sudditanza che va avanti da troppo tempo. Questo trend deve essere invertito».

Ma i referendum non tagliano la strada al Parlamento?

«Ma quando mai. Tutte queste disquisizioni servono solo per imbrigliare chi vuole modernizzare il Paese. A ogni proposta suona sempre un allarme, si evocano chissà quali conseguenze e pericoli per la democrazia, in conclusione si rimane sempre al palo. Sempre allo stesso punto.»

Senatore Calderoli, come finirà questa battaglia?

«Con Irene Testa, tesoriere del Partito radicale, ho scritto una lettera al presidente Sergio Mattarella. Un suo intervento avrebbe un peso straordinario. Io spero che Mattarella ricordi agli italiani il dovere di andare alle urne. Poi, naturalmente, troverà lui il modo per rivolgersi al Paese. Le parole del capo dello Stato possono fare la differenza e battere l'indifferenza. Dobbiamo fermare questa congiura del silenzio e giocare tutte le carte a disposizione. Se ogni persona responsabile ne sensibilizzasse un'altra, quel 30 per cento che andrà alle urne raddoppierebbe al 60.

Combattiamo fino al 12, o fino a quando resterò in piedi, poi si vedrà».

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