Dopo la bocciatura alla Camera della proposta di direttiva anticorruzione di Bruxelles, ieri dalla capitale belga un portavoce della Commissione Ue ha spiegato che se «ne prende atto» ma anche che «si tratta di una procedura normale e un diritto democratico dei parlamenti nazionali. La proposta di direttiva sulla lotta alla corruzione deve essere negoziata e adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio prima che diventi legge».
Del resto non c'è solo l'Italia a dire no al pacchetto che contiene obblighi per gli Stati membri nel rafforzamento delle leggi anticorruzione. La Svezia - il terzo Paese finora ad aver concluso l'esame dopo Irlanda e Portogallo, che hanno acceso il semaforo verde - ha dato parere negativo ad alcune parti della proposta di Bruxelles. Secondo il parlamento svedese alcune disposizioni violerebbero i principi di sussidiarietà dell'Unione europea. Per il Riskdag comprometterebbero l'indipendenza e l'autonomia della legislazione nazionale, andando ben oltre gli obiettivi che si prefigge la Commissione Ue. «Il Parlamento svedese considera inoltre discutibile che la competenza legislativa dell'Ue in materia di diritto penale possa estendersi fino a stabilire le condizioni per la democrazia nelle elezioni nazionali negli Stati membri», è l'obiezione. Il riferimento è alla parte della direttiva che impone, tra le sanzioni accessorie, la cessazione o l'interdizione da un pubblico impiego per i condannati per i reati di corruzione, tra cui anche il divieto di candidarsi a una carica elettiva. Una disposizione che in Italia già esiste con la legge Severino, che prevede per i sindaci anche la sospensione per 18 mesi con condanna in primo grado per abuso d'ufficio. Ed è l'abuso d'ufficio il nodo per cui la maggioranza ha fatto muro contro la direttiva in commissione Politiche Ue a Montecitorio. La riforma della giustizia del ministro Nordio vuole abolire il reato, oltre che ridimensionare quello di traffico di influenze. Le interlocuzioni con il Quirinale potrebbero portare a una mediazione in parlamento, ma il viceministro Francesco Sisto ieri ricordava che «non c'è nessun motivo per non tenere la barra dritta. Il convincimento di Nordio è il nostro». La direttiva europea sarebbe però un ostacolo. Perché impone obblighi, non dà raccomandazioni. Il combinato tra le disposizioni europee e la riforma italiana che toglie il reato aprirebbe uno scontro con Bruxelles. E il pressing della stessa Commissione Ue su Roma è evidente anche nel «Rapporto sullo stato di diritto», che critica il ddl del governo: «La depenalizzazione potrebbe influire sull'efficacia dell'individuazione e del contrasto della corruzione». Ieri un portavoce di Palazzo Berlaymont ha ribadito il concetto citando lo stesso rapporto: «Continueremo a seguire gli sviluppi (del ddl, ndr). La lotta alla corruzione è una priorità assoluta per la Commissione».
La proposta di direttiva mira a uniformare gli strumenti di repressione nei Paesi membri, ma contiene anche disposizioni che in Italia sono già coperte da altri reati. Impone per esempio di introdurre l'abuso d'ufficio nel privato, che nel nostro Paese è un campo già tutelato da altre norme, come la corruzione privata e l'infedeltà patrimoniale, oltre che l'appropriazione indebita aggravata. Non solo, si dettano paletti precisi - pene massime e minime, termini di prescrizione - da introdurre in sistemi giudiziari che però sono differenti tra i vari Stati. Lo fa notare Enrico Costa, Azione, che chiede si vada anche in Commissione Giustizia a bocciare il testo: «Il nostro Parlamento non è un notaio che deve solo recepire acriticamente le volontà dell'Ue.
Si tratta di ricercare un equilibrio che nella proposta della direttiva europea contro la corruzione era del tutto assente, e ciò è rafforzato dal fatto che essa contrasta con il disposto della Convenzione di Merida». Cioè la Convenzione Onu che raccomanda agli Stati le misure anti corruzione, a differenza della direttiva che le impone. Ostacoli sul cammino della riforma della giustizia.
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