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Il disastro dell'America in fuga dalla Storia

Kabul come Saigon: a pezzi la dimensione morale e strategica degli Usa. Che lasciano il campo ai rivali

Il disastro dell'America in fuga dalla Storia. E Cina e Russia ridono

Il disastro della defezione americana è insieme immenso, e ridicolo. Immenso nelle sue conseguenze umanitarie e geopolitiche. Quelle creature appese agli aerei siamo tutti noi, qui ci sono solo lacrime, solo il terrore di fronte al male assoluto. Ma è anche ridicolo, perché ciò che si ripete è una caricatura, una farsa: gli americani che, come un sorriso di Clint Eastwood, rappresentano il migliore dei mondi possibili per poi, invece, indietreggiare per mettersi a correre dietro l'angolo come Stanlio e Ollio, sono ormai diventati il replay di un vecchio film. Anzi, di diverse pellicole ingiallite: viene in mente il 75 a Saigon, naturalmente, con l'elicottero di disperati che si alza in volo portando in salvo i suoi mentre avanza il regime comunista vittorioso; e viene anche in mente il disastro dell'ambasciata iraniana del 79, con gli americani ostaggio degli ayatollah; e il rinculare di Obama dopo una terribile minaccia di guerra se fosse stata violata la «linea rossa» per cui Assad seguitava lieto a gasare i ribelli; e l'Iraq post Saddam; e la Libia, la Somalia, Haiti, Panama, l'antica Baia dei Porci, persino. L'America manda i suoi, sempre valorosi, decisi, armati con gli ultimi ritrovati, soldati e emissari carichi di sincero spirito democratico, e poi non gliene va veramente bene una. Le Forze Democratiche Siriane che hanno aiutato a liberare Raqqa dall'Isis hanno visto gli USA definirli un'alleanza «temporane a transitoria». In Iraq, nella regione dei Curdi, la paura che gli USA adesso li pianti in asso è molto concreta. Insomma questo ultimo abbandono nasce da una storia di protagonista assoluto che però non sa decidersi fra l'aspirazione morale e gli interessi politici immediati, zigzagante, sensibile oggetto di continue critiche, sempre meno sicura del proprio ruolo primario nel mondo. Così che adesso l'America risulta ammantata da un cumulo di vergogne, con questo rapidissimo e semi incomprensibile abbandono di Biden, la cui figura stessa adesso resta incatenata alle immagini dei poveri cittadini alla rincorsa degli aerei per volare via dalla persecuzione jihadista. Biden ha pensato che, come Trump, fosse il caso di parlare agli americani di «interessi» più che di compiti storici, dato che i miliardi spesi sono tanti, e che comunque, come gli inglesi nell'800 e i russi il secolo scorso, anche gli americani dopo vent'anni fra quelle montagne non sanno più che fare. Ma se la gente comune in America può voltarsi dall'altra parte, la sua élite, di destra e di sinistra, non sarà altrettanto indifferente allo spregio che qui vien fatto ai diritti umani, religione del nostro tempo. Inoltre come ignorare il favore che si fa a Mosca e a Pechino? I Talebani hanno visitato la Russia almeno tre volte in questi anni, e il commento dell'ambasciatore Dimitri Jirnov adesso è stato: «Occorre che i talebani consentano un passaggio ordinato dei poteri». Tutto qui. Anche i cinesi gioiscono, per non parlare degli iraniani, nonostante gli sciiti non siano i migliori amici dei talebani. Ma la loro bandiera è identica: jihad! Non a caso Hamas si è già congratulato, e ieri ha già tirato un paio di missili su Israele. La Jihad di tutto il mondo, a tutte le latitudini, si ringalluzzisce: per vent'anni, comunque, l'Afghanistan era stato quieto, Bin Laden era stato eliminato, al Qaeda non è tornata a colpire gli Usa. Intanto, la mortalità infantile si dimezzava e l'aspettativa di vita aumentava di 4 anni per le donne e di 3 per gli uomini, e i laureati passavano da 20mila a 31mila l'anno. Adesso, è finita. Adesso, la mossa di Biden ,mentre distrugge la dimensione morale e strategica americana, ne fa a pezzi la deterrenza. Il mondo è in preda a un trauma che sfascia insieme alla pace anche i nostri film, le canzoni, i sogni.

Ormai salverà il mondo non lo zio Sam, ma il coraggio di un no collettivo al jihadismo.

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