Coronavirus

Distanziati in Aula, ammassati fuori

In Transatlantico i deputati non sembrano rispettare le misure

Distanziati in Aula, ammassati fuori

Da giorni non si smette di ripetere che il «Parlamento funziona», «il Parlamento è vivo». Ma è funzionare dire solamente: «Sì»; «No»; «Mi astengo, signor presidente»? La democrazia di lattice è ormai entrata nella sua terza settimana e ieri ha sperimentato anche la «chiametta», l'invito a presentarsi e votare per cognome e fasce: apre la lettera A alle 14,45 e chiude la lettera Z alle 16,35. In aula, tutti i deputati hanno rispettato le distanze severissime, ma in Transatlantico le regole si sono un po' allentate e si è finiti ammassati anche se con mascherina.

Per esaminare il decreto sulla riduzione della pressione fiscale si è deciso di lasciare sfilare gli onorevoli sotto la presidenza come si fa con il voto di fiducia che è il momento delle grandi decisioni, anzi, per dirla come piace a Giuseppe Conte, delle ore più buie. E però, nessun regolamento parlamentare aveva previsto questa notte senza fine. «È adesso che dobbiamo esserci. Lavorano i poliziotti, i militari, non parliamo dei medici e infermieri» dice Luigi Iovino, deputato del M5s molto amato in Campania, anche lui trasfigurato dalla crisi, e dunque «si fa quello che si deve». E si fa anche di più dato che come dice l'oppositrice responsabile, Matilde Siracusano, di Forza Italia: «Nessuna polemica, ma il dibattito è viziato, anzi non c'è dibattito per niente».

Le regole d'ingaggio sono sempre le medesime: un quinto per ogni gruppo parlamentare, nessun emendamento e la disposizione della presidenza che via mail annuncia: «Non si potranno svolgere interventi per dichiarazioni di voto». Cosa si può svolgere allora? Cosimo Ferri di Italia Viva è arrivato di mattina e, almeno lui, non solo ha votato, ma ha anche partecipato alla giunta per le elezioni dove continua ad affacciarsi la vita ordinaria: «Abbiamo preso atto delle dimissioni di Jole Santelli e abbiamo indicato i termini al consigliere regionale della Calabria che deve sostituirla. Insomma, deve scegliere. O fare il deputato o rimanere in regione». Ferri ha indossato mascherine, guanti che solo l'indomabile Vittorio Sgarbi non ha accettato malgrado l'offerta dei commessi. Non ha rinunciato al suo esercizio di critico, e non solo d'arte, ed è stato bello ascoltarlo anche se velocemente: «Si vota un decreto per aiutare le aziende, ma con il rischio che non ci siano più aziende».

E a Montecitorio non c'è più neppure cibo. Nessuno sa dove siano i famosi panini della repubblica al posto della buvette. «Da quel che so, sono solo su prenotazione» dice Ferri. La deputata Wanda Ferro, di Fdi, per mangiare qualcosa è andata alla Coop. «E per venire a Roma, ho preso l'unico aereo che parte da Lamezia Terme. Ne è rimasto solo uno». Da Bergamo, Daniele Belotti, che con le sue parole ha commosso l'Italia intera, al telefono avvisa che questa volta non c'è: «Noi della Lombardia facciamo i turni per andare a Roma». Sarà davvero perché mai come in questa occasione chi assicura di essere presente lo è sul serio, ma ieri, il Transatlantico è apparso pieno tanto che Antonio Palmieri (Fi) lo ha voluto fotografare quasi per infondere e infondersi fiducia. «Di sicuro c'è un clima maturo per l'unità nazionale» conclude Ferri lasciando immaginare un dopo, la politica con i suoi ribaltoni, tranelli e inganni.

Adesso è il ricordo l'unico vaccino.

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