«O tell me the truth about love», cantava il poeta inglese Wystan Hugh Auden sull'isola d'Ischia negli anni Cinquanta e la sua più nota poesia, La verità, vi prego, sull'amore, ben si presta alla parafrasi: la verità, vi prego, su Ischia. Perché il nome dell'isola cara alla bellissima Lucrezia d'Alagno è legata più di ogni altro scoglio dell'arcipelago delle isole Flegree all'amore e all'amore per la letteratura. Giovanni Boccaccio, che s'intendeva dell'uno e dell'altra, fa raccontare a Pampinea, nella quinta giornata del Decamerone, una storia ricavata dalla leggenda di Fiorio e Biancifiore e così inizia: «Ischia è un'isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l'altre una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta». In fondo, il fascino dell'isola, che non è piccola come Capri, né grande come l'immensa Sicilia, è nella sua misteriosa concentrata varietà fatta di acqua salata e acqua termale ricercata da Garibaldi e Cavour, di storia e natura che uno scrittore come Giovanni Comisso rapito a Forio descriveva così: «Quando ci si volse dall'altra parte, su dal mare in tumulto, si vide definita e chiara tutta la costa dell'Italia, da Miseno fino al Circeo, con le cime dei monti bianche di neve al sole. Era la stessa visione che aveva avuto Enea e anche Ulisse e si decise di fermarci». La verità, vi prego, su Ischia.
Certo, non si può sbarcare a Ischia un giorno e andar via. Chi ci va ci resta. Una volta Raffaele La Capria, legatissimo a Capri, ha raccontato che Truman Capote mentre scendeva dal vaporetto inciampò, cadde e ruppe l'orologio. Un chiaro presagio: l'isola non era fatta per la fretta e la furia delle cose e Capote, che vi rimase quattro lunghi mesi nel 1949, scriveva Summer Crossing attratto dall'isola, dal vino e dai pescatori: «Che posto strano, e stranamente incantato è questo. È un'isola al largo della costa di Napoli, molto primitiva, abitata per la maggior parte da viticultori e da pescatori di capre, da W.H. Auden e dalla famiglia Mussolini». Non era quella la Ischia di oggi, era un'altra isola ma Truman Capote se la passava bene senz'altro sul tetto della pensione con l'odore meridionale del glicine e le foglie di limone: «L'avevo decorato con delle lanterne giapponesi, ed erano venute circa cinquanta persone, compresi tutti i più bei pescatori dell'isola. Se la spassavano tutti. Tutti, cioè eccetto Wystan che non ballava con nessuno, e non parlava con nessuno e se ne stava seduto in un angolo da solo, con la faccia tetra». La verità, vi prego, su Ischia.
Sulla spiaggia di Casamicciola ancora oggi si aggira un fantasma: Henrik Ibsen. Solo e pensoso, attratto e respinto dal mare, il Grande Norvegese era chiamato proprio così dai pescatori nell'Ottocento: il fantasma. Il suo eroe errabondo Peer Gynt prese corpo e anima ad Ischia e in fondo la capanna di Solvejg è nei castagneti di Casamicciola e la nordica e fredda Norvegia è la meridionale e calda Ischia. A star dietro a tutti i letterati che hanno messo piede sull'isola e, incantati, ne hanno scritto si rischia di scrivere una storia universale della letteratura. Lo si può capire Nietzsche che tra Sorrento e Ischia avrebbe voluto fondare un «piccolo convento laico» come scrisse Guy de Pourtalès in Nietzsche in Italia. E si può capire Alfonso V d'Aragona quando, innamorato dell'isola e ancor di più della sua bella Lucrezia, viveva e godeva nei boschi d'Ischia. Quegli stessi boschi sorgenti dal mare dal quale anche l'altra sera è venuto il boato sordo che annunciava il terremoto. Avvenne così la sera del 28 luglio 1883 - «rombo cupo e prolungato, e nell'attimo stesso l'edifizio si sgretolò» - quando il giovinetto Benedetto Croce, che l'amore di Alfonso e Lucrezia avrebbe poi raccontato, che soggiornava sulla collina di Casamicciola nella pensione Villa Verde perse la madre, il padre e la sorellina e rimase una notte e un giorno sepolto fino al collo: «Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre - scrisse nelle Memorie della mia vita - ; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle...».
Il giorno dopo Benedetto fu estratto da due soldati e sulla sua salvezza è nata coi nostri tristi giorni anche una polemica tra Roberto Saviano e Marta Herling, nipote di Croce: secondo l'autore di Gomorra il giovinetto si salvò perché seguì il consiglio del padre che morente gli avrebbe detto «offri centomila lire a chi ti salva». Una leggenda infondata e del tutto vana perché l'importanza di quella notte non è nei soldi ma nella filosofia.
Quel «tremuoto» di Casamicciola cambiò la vita del diciassettenne Croce e lo stesso pensiero filosofico, la verità, che, in fondo, è sempre venuta al mondo nel tentativo di superare provvisoriamente il «tremore» della Terra.La verità, vi prego, su Ischia.
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