Fra distruzione e letteratura La tragica bellezza di Ischia
23 Agosto 2017 - 08:41Auden, Ibsen, Pasolini e Capote hanno cantato l'isola che li ha ospitati. Il sisma del 1883 colpì Benedetto Croce
«O tell me the truth about love», cantava il poeta inglese Wystan Hugh Auden sull'isola d'Ischia negli anni Cinquanta e la sua più nota poesia, La verità, vi prego, sull'amore, ben si presta alla parafrasi: la verità, vi prego, su Ischia. Perché il nome dell'isola cara alla bellissima Lucrezia d'Alagno è legata più di ogni altro scoglio dell'arcipelago delle isole Flegree all'amore e all'amore per la letteratura. Giovanni Boccaccio, che s'intendeva dell'uno e dell'altra, fa raccontare a Pampinea, nella quinta giornata del Decamerone, una storia ricavata dalla leggenda di Fiorio e Biancifiore e così inizia: «Ischia è un'isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l'altre una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta». In fondo, il fascino dell'isola, che non è piccola come Capri, né grande come l'immensa Sicilia, è nella sua misteriosa concentrata varietà fatta di acqua salata e acqua termale ricercata da Garibaldi e Cavour, di storia e natura che uno scrittore come Giovanni Comisso rapito a Forio descriveva così: «Quando ci si volse dall'altra parte, su dal mare in tumulto, si vide definita e chiara tutta la costa dell'Italia, da Miseno fino al Circeo, con le cime dei monti bianche di neve al sole. Era la stessa visione che aveva avuto Enea e anche Ulisse e si decise di fermarci». La verità, vi prego, su Ischia.
Certo, non si può sbarcare a Ischia un giorno e andar via. Chi ci va ci resta. Una volta Raffaele La Capria, legatissimo a Capri, ha raccontato che Truman Capote mentre scendeva dal vaporetto inciampò, cadde e ruppe l'orologio. Un chiaro presagio: l'isola non era fatta per la fretta e la furia delle cose e Capote, che vi rimase quattro lunghi mesi nel 1949, scriveva Summer Crossing attratto dall'isola, dal vino e dai pescatori: «Che posto strano, e stranamente incantato è questo. È un'isola al largo della costa di Napoli, molto primitiva, abitata per la maggior parte da viticultori e da pescatori di capre, da W.H. Auden e dalla famiglia Mussolini». Non era quella la Ischia di oggi, era un'altra isola ma Truman Capote se la passava bene senz'altro sul tetto della pensione con l'odore meridionale del glicine e le foglie di limone: «L'avevo decorato con delle lanterne giapponesi, ed erano venute circa cinquanta persone, compresi tutti i più bei pescatori dell'isola. Se la spassavano tutti. Tutti, cioè eccetto Wystan che non ballava con nessuno, e non parlava con nessuno e se ne stava seduto in un angolo da solo, con la faccia tetra». La verità, vi prego, su Ischia.
Sulla spiaggia di Casamicciola ancora oggi si aggira un fantasma: Henrik Ibsen. Solo e pensoso, attratto e respinto dal mare, il Grande Norvegese era chiamato proprio così dai pescatori nell'Ottocento: il fantasma. Il suo eroe errabondo Peer Gynt prese corpo e anima ad Ischia e in fondo la capanna di Solvejg è nei castagneti di Casamicciola e la nordica e fredda Norvegia è la meridionale e calda Ischia. A star dietro a tutti i letterati che hanno messo piede sull'isola e, incantati, ne hanno scritto si rischia di scrivere una storia universale della letteratura. Lo si può capire Nietzsche che tra Sorrento e Ischia avrebbe voluto fondare un «piccolo convento laico» come scrisse Guy de Pourtalès in Nietzsche in Italia. E si può capire Alfonso V d'Aragona quando, innamorato dell'isola e ancor di più della sua bella Lucrezia, viveva e godeva nei boschi d'Ischia. Quegli stessi boschi sorgenti dal mare dal quale anche l'altra sera è venuto il boato sordo che annunciava il terremoto. Avvenne così la sera del 28 luglio 1883 - «rombo cupo e prolungato, e nell'attimo stesso l'edifizio si sgretolò» - quando il giovinetto Benedetto Croce, che l'amore di Alfonso e Lucrezia avrebbe poi raccontato, che soggiornava sulla collina di Casamicciola nella pensione Villa Verde perse la madre, il padre e la sorellina e rimase una notte e un giorno sepolto fino al collo: «Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi, e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre - scrisse nelle Memorie della mia vita - ; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo e sul mio capo scintillavano le stelle...».
Il giorno dopo Benedetto fu estratto da due soldati e sulla sua salvezza è nata coi nostri tristi giorni anche una polemica tra Roberto Saviano e Marta Herling, nipote di Croce: secondo l'autore di Gomorra il giovinetto si salvò perché seguì il consiglio del padre che morente gli avrebbe detto «offri centomila lire a chi ti salva». Una leggenda infondata e del tutto vana perché l'importanza di quella notte non è nei soldi ma nella filosofia. Quel «tremuoto» di Casamicciola cambiò la vita del diciassettenne Croce e lo stesso pensiero filosofico, la verità, che, in fondo, è sempre venuta al mondo nel tentativo di superare provvisoriamente il «tremore» della Terra.
La verità, vi prego, su Ischia.