Guerra in Ucraina

Don Giuseppe, tremila chilometri col furgoncino. "Non potevo lasciare quei bimbi sotto le bombe"

Il parroco di Busto Arsizio ha guidato 20 ore per arrivare al confine ucraino. In ogni città le famiglie aprono le case: "Pronti a ospitare chi fugge da laggiù"

Don Giuseppe, tremila chilometri col furgoncino. "Non potevo lasciare quei bimbi sotto le bombe"

Mentre tutti noi eravamo incollati alla tv senza capacitarci di quelle bombe, don Giuseppe era già dal benzinaio a fare il pieno al furgoncino della parrocchia. Domenica sera è partito da Busto Arsizio (Varese) per la Polonia assieme ai volontari che solitamente a Natale e in estate ospitano i bambini ucraini della provincia di Malyn, vicino a Chernobyl. «Andiamo a prendere i nostri figli».

Giusto il tempo di consultare le cartine, verificare i documenti dei bimbi, e via, la missione è cominciata. Venti ore di viaggio, 3mila chilometri alla guida, imprevisti di ogni tipo, comprese cinque ore di coda a Cracovia per recuperare altri due ragazzini.

Il «miracolo» di don Giuseppe si è concluso la scorsa notte nella cittadina del varesotto, dove il pulmino è arrivato con la città addormentata e il sindaco Emanuele Antonelli ad aspettarlo, fermo sul marciapiede con la fascia tricolore. «Ben arrivati ragazzi, ditemi subito: sarete mica interisti? O don Giuseppe via ha già convertiti al Milan?» ha scherzato con i bambini, stanchissimi per il viaggio ma finalmente con il sorriso.

Ora Victoria (9 anni), Maxime (11 anni), Kirin (13 anni), Sofia (15 anni) e la piccolissima Emjlia, che ha meno di un mese, sono al sicuro. In tutto sono dieci le persone portate in salvo. «Il papà dei bambini li ha accompagnati fino al confine. Avremmo dovuto recuperarli a Jagodin, sul fiume Bug, ma da lì si poteva passare solo in auto. Allora sono usciti più a Sud - racconta Francesca Luana Giordano, che ospita Victoria - Sono stati per una notte in coda al freddo e poi con uno zio polacco che li ha ospitati fino al nostro arrivo. Durante il viaggio ci siamo coordinati con una marea di telefonate e con parecchie difficoltà di comunicazione. Ma è finito tutto bene. Stiamo andando a pranzo dalla nonna, ci sono le lasagne, lo hanno espressamente chiesto loro durante il viaggio».

Nelle prossime settimane i bimbi, che parlano un po' di italiano, verranno inseriti a scuola e i genitori «affidatari» si stanno già mobilitando con il provveditorato perchè il loro anno scolastico venga riconosciuto. Si cerca di fare in modo che tutto sia normale.

Mentre tante famiglie italiane ora sono tranquille e stanno organizzando una nuova quotidianità, altre sono in ansia. Alessandra, che da anni ospita ogni anno un ragazzino ucraino, ha perso il sonno ed è perennemente al telefono. «Ora lui ha 18 anni ed è un problema portarlo fuori dal Paese. Abita a 15 chilometri da Kiev e abbiamo paura che lo arruolino. Per un minore è più facile varcare il confine, per lui purtroppo no. Io sono qui, pronta ad andare a prenderlo al confine, non appena troveremo il modo di farlo arrivare li in modo sicuro». Come la maggior parte delle città italiane, a Busto le famiglie aprono le porte di casa agli ucraini. «Continuiamo a ricevere offerte di aiuto per ospitare i profughi e ci stiamo attivando per coordinare l'accoglienza, senza porre limiti di numero ai nostri ospiti. Saranno permanenze lunghe, ci stiamo organizzando» conferma l'assessore ai Servizi Sociali Paola Reguzzoni.

La disponibilità è alta. Spontanea. Del resto la Lombardia è legata a doppio filo all'Ucraina. Le famiglie affidano i loro anziani alle badanti di Kiev e, da una settimana, soffrono assieme a loro, chiedendo notizie dei loro figli nascosti negli scantinati.

Tutta Italia si sta mobilitando per i bambini: le raccolte di cibo e indumenti non si contano ma, quello che commuove è come la gente apra le case per ospitare chi fugge.

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