Il Don come il Rubicone, la strategia del blitz

Il Don è diventato l'equivalente del Rubicone che Giulio Cesare attraversò nel 49 a.C.

Il Don come il Rubicone, la strategia del blitz
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I due fiumi non sono paragonabili: il primo scorre per 1.870 chilometri tra foreste e steppe, l'altro per appena 35 chilometri prima di sfociare nell'Adriatico: eppure il Don, varcato dai mercenari del Gruppo Wagner diretti nella vicina Rostov, è diventato l'equivalente del Rubicone che Giulio Cesare attraversò nel 49 a.C.

Per il generale romano, di ritorno dalla trionfale campagna nelle Gallie, quello era il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio di Roma che non poteva essere attraversato in armi. Giulio Cesare ignorò il monito del Senato con il suo «Alea iacta est» (il dato è tratto) e con 5mila uomini e 300 cavalieri marciò su Roma, dando inizio alla guerra civile contro Pompeo che avrebbe gettato le basi per la nascita dell'Impero. Un'altra «guerra civile», come annunciato dal Gruppo Wagner, è stata scatenata da Evgenij Prigozhin con i suoi 25mila uomini varcando il fiume Don e conquistando Rostov, la città russa di un milione di abitanti appena oltre il confine ucraino. Una conquista che non è solo simbolica perché è la strategica sede del Distretto militare meridionale da cui venivano coordinate le operazioni militari in Ucraina da parte del ministro della Difesa, Serghei Shoigu, il grande antagonista di Prigozhin. Da lì i mercenari puntano all'avanzata verso Mosca. La scelta di Rostov da parte del gruppo di Wagner, non è dunque casuale. E intanto la città vive quella che gli abitanti definiscono «situazione surreale».

Parte della città sta vivendo una vita normale, l'altra metà, invece, dove si trova la sede strategica del distretto militare meridionale, gli edifici del ministero dell'Interno, dell'Fsb e dell'amministrazione comunale, è più controllata e in parte bloccata.

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