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"Un Donald italiano? Non serve, siamo noi a fornirgli i modelli"

Il professore di Dottrine politiche Alessandro Campi dubita che il fenomeno sia importabile: "C'è chi lo accosta a Berlusconi, ma chi gli è più simile forse è Beppe Grillo"

"Un Donald italiano? Non serve, siamo noi a fornirgli i modelli"

Professor Alessandro Campi, direttore della «Rivista di Politica» e docente di Scienza politica all'Università di Perugia, nell'ipotesi di una presidenza Trump pensa che movimenti come Lega o Front National potrebbero avvantaggiarsene?

«Non più di quanto la sinistra radicale italiana si sia avvantaggiata a suo tempo della vittoria di Lula in Brasile, di Chavez in Venezuela, di Zapatero in Spagna o di tutti gli altri leader gauchisti ai quali ha guardato come modelli vincenti salvo scoprire che gli italiani non votano secondo quel che accade negli altri Paesi».

C'è in Italia una figura che può avvicinarsi a Trump nel presente e nel passato?

«Nei giorni scorsi, sulla base di una citazione peraltro apocrifa (Meglio vivere un giorno da leone, che cento da pecora), si è scomodato il nome di Mussolini. Ma è un paragone soltanto polemico e privo di senso storico. Altri sostengono che il modello italiano più prossimo a Trump è Berlusconi: un magnate che sfida gli apparati politici tradizionali contando su una grande forza comunicativa e su un linguaggio diretto e semplice. Forse il personaggio nostrano più simile a Trump è però Beppe Grillo: anche quest'ultimo è riuscito a creare una coalizione populista che lucra sul risentimento popolare verso la politica e sulla rabbia sociale prodotta dalla crisi economica, sfruttando al tempo stesso le opportunità di mobilitazione offerte dalla rete».

Che possibilità ci sono che in Italia emerga prima o poi una figura simile?

«L'ho detto, è già emerso. Come sempre nella sua storia l'Italia si è confermato il laboratorio politico dell'Occidente. Da noi le cose accadono prima che altrove. È questo il senso corretto di quello che si chiama il caso italiano».

Cosa può insegnare ai leader della destra europea un'eventuale affermazione di Trump alle primarie repubblicane, in termini di leadership e di temi politici proposti?

«Trump si è messo a capo di una coalizione populista che non coincide con la destra statunitense classica nelle sue diverse anime: i cristiani fondamentalisti, i conservatori sociali, i libertari, i sostenitori del primato politico-militare degli Stati Uniti, ecc. A queste componenti ha infatti aggregato un elettorato più ampio, ideologicamente variegato, fatto di arrabbiati, di persone impaurite dalla crisi economica e dall'immigrazione, di cittadini (di destra e di sinistra) che odiano i politici di Washington e non sopportano più gli obblighi sociali del politicamente corretto. Queste coalizioni populiste di cui abbiamo un esempio in Italia con Grillo per la destra non rappresentano un esempio ma un pericolo: rischiano infatti di fagocitarle dal punto di vista elettorale e di stravolgerle sul piano dei contenuti. Esattamente come sta capitando ai Repubblicani».

Visto dall'Europa, Trump è solo un'anomalia o può essere anche un modello?

«Di leader populisti, di grande presa mediatica, che contestano e sfidano politicamente i partiti tradizionali e i politici di professione ne abbiamo ormai in tutte le democrazie, a partire proprio da quelle europee. Non si può più parlare di eccezione o anomalia. Si è aperto un ciclo politico nuovo, come quando fecero la loro comparsa sulla scena di molti Paesi i partiti e movimenti populisti o quelli di ispirazione cristiano-popolare. Sono realtà destinate a radicarsi e a durare, anche perché si alimentano delle promesse non mantenute dei regimi democratici e della fine irreversibile delle politiche redistributive basate sull'ampliamento indefinito della spesa pubblica».

Last but not least: detto tutto questo, secondo lei che probabilità ha Donald Trump di diventare presidente degli Stati Uniti?

«Nessuna. L'establishment statunitense che non ama gli outsider e che rappresenta un'oligarchia con un forte senso del proprio ruolo e dei connessi privilegi - si chiuderà a riccio e convergerà massicciamente sulla Clinton. Anche perché Trump rappresenta un pericolo non solo per i Democratici ma anche per i Repubblicani, che rischiano di uscire da queste primarie spaccati e deboli come mai sono stati nella loro storia. Tutto questo a meno che Trump, vinte le primarie repubblicane, non imprima un corso totalmente differente alla sua campagna presidenziale, lasciando i toni urlati e provocatori per scegliere una posa più pragmatica e affidabile.

Ma mi sembra francamente improbabile che da iconoclasta si trasformi improvvisamente in statista misurato».

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