Quando parla dell'azione di governo, Draghi usa spesso e volentieri il passato prossimo. Solo a volte, quando le circostanze lo richiedono, si affida al presente. Ma mai e poi mai si avventura nel parlare al futuro. Un dato lessicale che ha un peso non indifferente, visto che è sempre seguendo questo canovaccio che il premier risponde per due ore a ben 43 domande nella tradizionale conferenza stampa di fine anno. D'altra parte, a Palazzo Chigi l'appuntamento è stato preparato in ogni dettaglio, ben sapendo che il tema più gettonato sarebbe stato quello del Quirinale. Tutte le risposte, dunque, sono accuratamente ponderate. Come pure l'introduzione iniziale, quella che serve a gettare le basi del successivo affondo. «Abbiamo conseguito tre grandi risultati», dice. «Siamo - spiega - uno dei Paesi più vaccinati, abbiamo consegnato in tempo il Pnrr e raggiunto tutti i 51 obiettivi concordati con l'Ue». Ancora: «Il governo ha creato queste condizioni indipendentemente da chi ci sarà».
Il premier, insomma, non si limita all'uso del passato, ma è lui stesso a paventare l'ipotesi di un cambio della guardia a Palazzo Chigi. Il retroscena, dunque, si fa scena. E quel che fino a ieri era dato per scontato da tutti gli addetti ai lavori, trova conforto nelle parole dell'ex Bce. Non c'è, ovviamente, un accenno diretto a un suo eventuale futuro al Colle, perché sarebbe stato impensabile. Ma sul punto Draghi dice esattamente tutto quello che si può dire ed evita accuratamente quello che non si può dire. E negando di essere lui stesso il collante della maggioranza («la responsabilità quotidiana dell'azione dell'esecutivo sta nel Parlamento») di fatto conferma la sua disponibilità per il Quirinale. Due segnali chiari. Il primo ai partiti, che ieri non hanno accolto bene la sua sortita. Il secondo al Parlamento, che nell'ultima settimana di gennaio si riunirà in seduta comune per eleggere il successore di Mattarella. E che ieri è andato nel caos, visto che deputati e senatori sanno bene che lo scenario di Draghi al Colle è quello che più di tutti avvicina il rischio di elezioni anticipate. E i gruppi parlamentari sono così in agitazione che spesso si muovono in autonomia persino rispetto ai desiderata dei leader. Il M5s, per dire, ieri ha praticamente imposto la linea a Conte, mettendolo al corrente del comunicato in cui si auspicava «continuità» a Palazzo Chigi a cose fatte. Il segnale che le votazioni quirinalizie potrebbero essere molto più complicate di quanto si pensa.
Draghi, però, al momento non sembra troppo preoccupato. Anche perché, spiega, se l'attuale maggioranza si spacca sul Colle è difficile che si «ricomponga magicamente quando è il momento di sostenere il governo». Come dire che senza una convergenza su una figura unitaria, la sua esperienza a Palazzo Chigi sarebbe comunque conclusa. Qualcuno ha visto in questa frase l'auspicio di una sorta di piano B: se a Draghi non riuscisse il trasloco al Quirinale, allora ben venga un Mattarella bis. Altri, invece, hanno letto nelle parole del premier - anche nel suo autodefinirsi «un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni» - una sorta di messaggio di commiato: il lavoro è stato fatto, se serve sono a disposizione per il Colle, altrimenti «non ho particolari aspirazioni».
Non è un caso che Draghi abbia spiazzato praticamente tutti i leader. E che vada prendendo piede la sensazioni di un governo a fine corsa.
Il premier, però, non pare essersi troppo scomposto per la grande fibrillazione che ha seguito la sua conferenza, ben consapevole che se il prossimo inquilino del Quirinale deve essere «condiviso» non ci sono grandi alternative al suo nome.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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