Condivisione delle licenze con tutte le aziende. Superamento del segreto industriale in modo da ampliare il numero dei siti di produzione. Rispetto dei tempi fissati per la consegna. Trasparenza sugli accordi. Somministrazione della prima dose senza tenere le scorte.
Bruxelles sta vagliando tutte le strade praticabili per imporre un'accelerazione alla profilassi nell'ottica di una condivisione delle decisioni con le aziende, riservando soltanto come ultima ratio l'eventuale ricorso a strumenti coercitivi come il blocco cautelativo dell'export per le dosi o l'articolo 122 che, in caso di crisi e carenza di beni essenziali, apre all'uso di obblighi e divieti. Strumento adottabile per un' emergenza come la crisi pandemica.
La posta in gioco è troppo alta. Se l'Europa si sfalda sulla campagna vaccinale allora il principio stesso sul quale si fonda l'Unione rischia di andare in frantumi. La Commissione intende salvaguardare il progetto di profilassi comune ai 27 stati membri confermando l'obiettivo di vaccinare il 70 per cento della popolazione europea entro settembre.
L'esordio di Mario Draghi come premier italiano oggi nel Consiglio europeo avviene quindi sotto un cielo plumbeo. E senza dubbio a Draghi, che ieri ha già avuto un colloquio a due con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, toccherà un ruolo decisivo nel contenere le spinte verso lo sfaldamento alimentate da quello che a molti stati membri appare come un fallimento della Commissione Europea: un piano vaccinale lento che procede a singhiozzo a causa del mancato rispetto dei tempi di consegna da parte delle aziende. Sul tavolo dei 27 leader la situazione epidemiologica e tutti i dossier aperti sull'autorizzazione, la produzione, la distribuzione dei vaccini e la circolazione delle persone. Su questo fronte difficile si possa trovare un accordo su un passaporto vaccinale.
L'ultima pessima notizia è trapelata due giorni fa. AstraZeneca dimezzerà la fornitura di dosi rispetto a quanto previsto nel contratto: meno di 90 milioni invece di 180. Riduzione però smentita (ma a metà) dall'azienda che ieri ha confermato le forniture di oltre 5 milioni di vaccini per l'Italia previste per il primo trimestre e l'impegno a consegnare all'Italia più di 20 milioni di dosi nel secondo trimestre. Bisognerà però vedere se alle parole seguiranno i fatti. Oggi si terrà un'audizione pubblica a Bruxelles con i ceo delle aziende produttrici, Pfizer, Moderna e Astrazeneca. Con quest'ultima in particolare la Ue è pronta a battere i pugni sul tavolo ribadendo che gli impegni presi nel contratto firmato ad agosto ora vanno mantenuti.
Intanto però i dubbi sulla gestione del piano vaccinale da parte di Bruxelles aumentano in molti stati. I premier di Danimarca, Spagna, Polonia, Lituania e Belgio hanno chiesto alla Ue di assicurare per il futuro una produzione comune di vaccini sicura ed efficiente, come a dire che fino ad ora non è stato così. E dunque molti paesi stanno coltivando l'idea di muoversi in modo autonomo producendo in casa propria. Anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, ieri alla Camere ha confermato la volontà del governo di «investire per sostenere e sviluppare il sistema industriale italiano della farmaceutica, asset strategico fondamentale per il nostro Paese», ricordando che un vaccino anti Covid sarà prodotto in Italia: Reithera.
Pochi giorni fa il commissario all'industria Ue, Thierry Breton, aveva ribadito l'obbiettivo di raggiungere l'autosufficienza nella produzione dei vaccini in due anni.
E ora è a caccia di altri stabilimenti oltre quelli delle aziende che detengono il segreto industriale. Ma i tempi sono lunghi e appare ancor meno praticabile l'idea di produrre in siti extra Ue perché occorrerebbe una doppia autorizzazione da parte dell'Ema proprio mentre si cerca invece di velocizzarne i tempi.
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