L'uomo di ghiaccio non fa una piega, non muove un muscolo, non si scongela nemmeno quando Matteo Salvini si mette «a completa disposizione» e offre i suoi voti alla causa. «Grazie, ne ero sicuro», risponde tranquillo Mario Draghi: infatti già lo sapeva, glielo ha appena confermato Giancarlo Giorgetti, il numero due leghista, da mesi ufficiale di collegamento e autore della conversione europeista del Capitano. «Non poniamo veti né condizioni. E non facciamo nomi», insiste Salvini. Certo, puntualizza l'incaricato, «li farò io». Nessuna polemica, per carità: giusto per chiarire. Poi parla di vaccini, fisco, investimenti, giovani, Recovery: pochi progetti dettagliatissimi per ottenere in fretta i sussidi. Ma è un discorso a grandi linee: per i dettagli martedì.
Subito dopo tocca al M5s. Incontro cruciale, atteso alla vigilia anche per la curiosità antropologica reciproca. Il banchiere e il comico, l'uomo che ha salvato l'euro e quello che ha sdoganato il vaffa: in che lingua si parleranno? Si capiranno? Beppe Grillo il teatrino vero lo ha appena fatto con i suoi parlamentari, qui a Montecitorio strappa comunque quattro risate a Supermario. Il colloquio scivola via senza troppi drammi, con Draghi che abbozza scenari macroeconomici e illustra l'idea di Paese che ha in mente e i Cinque Stelle che lo pregano di non smantellare il reddito di cittadinanza. Il professore non si sbilancia, dice soltanto che in questa fase «le misure di sussidio per contrastare l'indigenza possono essere importanti» e apre genericamente sui temi ecologisti cari al movimento. I grillini se lo fanno bastare. «Lealtà totale».
All'ora di pranzo il presidente incaricato può tornare in Umbria. Passerà il resto del weekend a lavorare sul programma e sulla squadra, in attesa del secondo giro. Domani i piccoli e le forze sociali, martedì giornata clou con Maie-Leu-Iv-FdI-Pd-Forza Italia-Lega-M5s, uno dopo l'altro fino alle 19. In serata, se tutto andrà bene, o mercoledì mattina, potrebbe salire al Quirinale con la lista e sciogliere la riserva.
Il dubbio principale, governo politico, tecnico o misto, è ancora da sciogliere. Però Draghi può già trarre un primo bilancio positivo. Il suo esecutivo di salvezza nazionale ha ottenuto il sì di quasi tutti. L'unico no, di Giorgia Meloni, è accompagnato da una promessa: saremo responsabili e appoggeremo i provvedimenti che ci sembreranno buoni. Certo, ci sono ancora grossi problemi. Lega e Cinque Stelle chiedono un esecutivo politico, il Pd tecnico: non vogliono stare nella stessa squadra con Salvini.
Questioni considerate «risolvibili», aspettando che la decantazione finisca e i partiti arrivino a maturazione. Manca poco. Draghi sentirà ancora il capo dello Stato prima di scegliere la composizione giusta. Ministri politici e sottosegretari tecnici, di area? Il contrario? Da un lato il mandato del Colle parla di un governo sganciato da formule politiche. Dall'altra, come suggeriva Sergio Mattarella, non si vuole dare l'impressione di commissariare il Parlamento. E del resto i partiti vanno «legati» in qualche modo, per scongiurare operazioni di disimpegno quando «il gioco si farà duro», quando cioè si dovranno fare delle scelte, varare delle riforme che servono all'Italia ma non andranno bene a tutti.
In queste ore l'ex numero uno di Francoforte pensa, per la funzione di raccordo, a un doppio sottosegretario alla presidenza, Giorgetti e un giallorosso. Ma una cosa è certa: nessuna trattativa sui nomi, sarà Draghi a decidere.
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