Draghi epura gli economisti liberisti

Accolto l'appello della sinistra su Puglisi e Stagnaro: niente contratto per la task force

Draghi epura gli economisti liberisti

La sinistra neo-keynesiana può puntare al monopolio dell'indirizzo economico del governo, mentre gli esperti ascrivibili ad altre aree culturali tendono ad essere esclusi dagli organi di nomina politica (ma pure dalle occasioni di approfondimento) in maniera sistemica. L'immagine plastica che sintetizza l'andazzo è in un tweet del ministro Andrea Orlando: un cinguettio che risale allo scorso primo aprile. La foto ritrae «un incontro in forma seminariale sulle conseguenze economiche e sociali del conflitto in Ucraina». Tra i presenti all'evento, possono essere annoverati il professor Emanuele Felice, che è consulente del ministro del Lavoro dal luglio del 2021 e che è stato responsabile economico del Pd ai tempi della segreteria di Nicola Zingaretti, ed il professor Andrea Roventini, che sarebbe dovuto essere il ministro dell'Economia del M5s nel caso in cui i grillini avessero vinto in solitaria le passate elezioni politiche e che ha fatto parte della «Task force Covid19»con il Conte bis.

Oltre alla connotazione giallorossa, i due economisti hanno in comune una lettera pubblicata su Domani ed indirizzata al premier Mario Draghi. Una missiva tramite cui venivano sollevate alcune perplessità, per usare un eufemismo, su alcune delle personalità che avrebbero dovuto far parte della discussa Task force sul Recovery: «...nella cinquina di nominativi, accanto ad alcune figure di riconosciuta competenza - si leggeva, dopo le anticipazioni fornite dal Foglio sulla composizione della squadra - , vi è una preoccupante presenza di studiosi portatori di una visione economica estremista caratterizzata dalla fiducia incondizionata nella capacità dei mercati di risolvere autonomamente qualsiasi problema economico e sociale».

La lettera, che era apparsa in piena bufera mediatico-politica sulla «task force liberista» nel giugno del 2021, presentava anche le firme di Felice e Roventini. Le «colpe» di alcuni economisti annoverati nel quintetto risiedevano, per i sottoscrittori, nel deficit di statalismo e nell'appartenenza geografica nordica. Gli obiettivi non dichiarati dell'offensiva, a ben vedere, erano il professor Riccardo Puglisi, l'ingegner Carlo Stagnaro ed il ricercatore Francesco Filippucci: un trittico di esperti che, alla fine della fiera, non avrebbe poi ricevuto alcun decreto di nomina. A fare le barricate (peraltro riuscite), sempre nel giugno del 2021, ci aveva pensato pure il vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano, che fa parte dello stesso correntone post-diessino di Orlando e che, proprio con il ministro del Lavoro, è uno dei pochi esponenti Dem ad avere ancora un canale di dialogo aperto con Massimo D'Alema. «A coordinare e valutare la politica economica nella più grande stagione di investimenti pubblici è opportuno chiamare degli ultras liberisti? Una vita a infamare la spesa pubblica su Twitter, e poi...», aveva tuonato all'epoca Provenzano, che è ex ministro del Sud. Una prova, l'ennesima, di come certa sinistra possa vantare ancora una cospicua capacità di manovra nei palazzi del potere.

Un destino inverso, invece, è stato riservato agli altri due economisti che avrebbero dovuto far parte della «cinquina» a supporto dell'azione del governo Draghi: il professor Marco Percoco è stato nominato nel Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica dell'esecutivo nel maggio del 2021 e lo stesso discorso vale per il professor Carlo Cambini, che è stato a sua volta ufficializzato nello stesso mese. Percoco, per dire, faceva parte del Comitato «Sì per il Sud» presentato dal senatore Salvatore Margiotta, esponente del Pd, ai temi del referendum costituzionale che sarebbe stato bocciato dagli italiani. Se i due «superstiti» della cinquina non possono essere tuttavia associati al Pd, è altrettanto chiaro - ci assicurano - come non possano neppure essere definiti nemici della formazione politica che ha sede al Nazareno.

Del resto, per l'enclave politico-economica di Enrico Letta e limitrofi la questione è semplice: chiunque non ritenga l'aumento della spesa pubblica la panacea di ogni male è da considerarsi un escludibile «ultras-liberista».

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