La pazienza Draghi deve averla esaurita verso ora di pranzo, al termine di una mattinata passata tra Senato e Camera a fare il punto sulla guerra in Ucraina. Una maratona di quasi cinque ore, durante le quali il premier si è dovuto far carico non solo dell'assedio del M5s sull'invio di armi a Kiev, ma pure dei distinguo di un Salvini che ha terminato il suo intervento invitando il premier ad «osare» come fece «qualcuno prima di lei». Per «Craxi, Moro, Prodi e Berlusconi», dice il leader della Lega rivolto a Draghi, «l'Italia veniva prima di altri» e «prevedeva prima di altri come uscire dal conflitto», un'Italia «libera e sovrana» e «non alle dipendenze di nessuno». Una ramanzina che pare non abbia messo particolarmente di buon umore l'ex numero uno della Bce. Anche perché nel frattempo da Palazzo Chigi arrivavano notizie per nulla rassicuranti sul ddl Concorrenza, uno dei provvedimenti chiave del Pnrr. La riunione delle otto di mattina tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Garofoli, i ministri D'Incà (Rapporti con il Parlamento) e Garavaglia (Turismo) e i relatori del provvedimento si è infatti conclusa con l'ennesimo nulla di fatto, con la Lega a chiedere di riformulare l'emendamento sui balneari spostando i bandi dal 2023 al 2025.
È la goccia che fa traboccare il vaso. Non che Draghi non comprenda le esigenze della politica o quelle di partiti che sono ormai in campagna elettorale. C'è però un limite invalicabile, che è quello di non compromettere l'essenza stessa di un governo che è nato per mettere in moto un Pnrr che vale quasi 200 miliardi di euro. Ecco, questo per il premier è un tema «non sindacabile». E siccome boicottare il ddl Concorrenza significa compromettere il Pnrr, decide che è arrivato il momento di un salto di qualità. Così non si limite a riunire la cabina di regia, ma convoca a sorpresa un Cdm. Molti ministri, per capirci, vengono a sapere della riunione dalle agenzie di stampa. Un incontro di pochi minuti, in cui Draghi legge un testo preparato dai suoi uffici che fa il punto sul ddl Concorrenza: si sarebbe dovuto iniziare a votare il 14 marzo, invece siamo ancora fermi. Questo significa che bene che va non sarà approvato prima di agosto, con il rischio concreto di non varare i relativi decreti attuativi entro la fine dell'anno. Insomma, il Pnrr è a rischio. I ministri non fanno obiezioni, neanche quelli di Lega (Giorgetti e Garavaglia) e Forza Italia (Brunetta, Carfagna e Gelmini). Tutti danno il loro benestare anche a un eventuale voto di fiducia. Perché, dice Brunetta, «bisogna chiudere entro maggio». «Dobbiamo correre per rispettare gli impegni», aggiunge Gelmini.
Ma quella di Draghi non è solo una prova muscolare. È anche un avvertimento, perché sono mesi che il premier assiste silenziosamente ai veti e controveti sul ddl Concorrenza. Ora inizia ad essere stanco, forse anche un po' scoraggiato, consapevole che se davvero l'Italia dovesse fallire l'obiettivo del Pnrr sarebbe un duro colpo anche per la sua credibilità all'estero. Ecco perché ha voluto mandare un segnale forte, nonostante a metà giornata l'informativa in Parlamento sull'Ucraina stesse andando sui binari giusti. Certo, il premier è stato attento a dosare aggettivi e sfumature, per evitare di prestare il fianco a un M5s che continua a dirsi assolutamente contrario all'invio di armi a Kiev. Una posizione che, evidentemente, destabilizza la maggioranza, anche perché Conte - che il primo marzo ha votato per gli aiuti militari all'Ucraina - tuona a favore di telecamere ma senza trarne le conseguenze. Ieri, infatti, nessuno ha negato al M5s un voto sulla guerra, semplicemente in caso di informativa del premier non è contemplato dai regolamenti parlamentari. Però, nulla toglie al M5s di depositare una mozione e chiedere in conferenza dei capigruppo che venga calendarizzata al più presto. Così finalmente Conte potrà passare dalle parole ai fatti e mettere nero su bianco il suo «no» agli aiuti militari all'Ucraina. Posizione probabilmente efficace in un talk tv, ma decisamente più complicata da spiegare in ambito europeo o Nato, visto che sul punto non c'è Paese che metta in discussione il sostegno militare a Kiev.
Non è un caso che, nel suo intervento, Draghi ci tenga a precisare che «se oggi possiamo parlare di un tentativo di dialogo» è soprattutto «grazie al fatto che l'Ucraina è riuscita a difendersi in questi mesi di guerra».
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