Eccoli, sono i nuovi populisti. Vogliono spendere, sfondare tetti e guadagnare decimali per distribuire redditi e pensioni, ma, avverte Mario Draghi hanno sbagliato i conti. «Come ha dimostrato la sua storia, il finanziamento del debito pubblico non ha mai portato a reali benefici a lungo termine». Questi keynesiani alle vongole parlano tanto di sovranismo, eppure «uscire dalla moneta unica non garantisce più sovranità». Anzi, meno. Prima dell'euro infatti «le decisioni rilevanti di politica monetaria erano prese in Germania, mentre oggi sono partecipate da tutti». Qualcuno rimpiange la liretta e la vorrebbe indietro e questo, spiega il presidente della Bce, sarebbe davvero un suicido perché «l'euro ci protegge» mentre le svalutazioni italiane degli anni 80 e 90 hanno provocato «danni sociali altissimi». Conclusione, con tutti i suoi limiti e i possibili miglioramenti, l'euro rimane «una garanzia» e una «difesa dai regimi illiberali».
Laurea honoris causa alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, le domande degli studenti e un Draghi piuttosto in palla, «orgoglioso di essere italiano», che concede una lunga lezione a vent'anni dall'introduzione della moneta unica. Certo, dice, ci sono ancora dei problemi. «L'unione è stata un successo sotto molti punti di vista ma dobbiamo allo stesso tempo riconoscere che non sono stati ottenuti tutti i risultati che ci si attendeva». La colpa? In parte nostra, cioè «di politiche nazionali incoerenti con la scelta di una moneta unica». In parte invece «dell'incompletezza dell'unione monetaria che non ha consentito un'adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi». Servono quindi riforme per fare crescere salari, produttività e occupazione, ma anche «una maggior coesione» nella Ue.
Qualcuno ha paura del mercato unico, «visto non di rado come una semplice trasposizione del processo di globalizzazione a cui nel tempo è stata tolta persino la flessibilità dei cambi». Ebbene, «non è così», al riparo dello scudo dell'euro «il commercio intra-Ue ha accelerato, salendo dal 13% in rapporto al Pil nel 1992 al venti di oggi». E ancora: «Gli scambi totali dell'area dell'euro si sono accresciuti sia in termini assoluti sia come quota del Pil di tutte le economie avanzate, anche con l'ingresso degli emergenti e l'allargamento dell'Unione».
Così tornare indietro sarebbe la scelta peggiore, la svalutazione è un'arma spuntata. «Dal varo dello Sme nel 1979 alla crisi del 1992 spiega Super Mario - la lira venne svalutata sette volte di più rispetto al marco tedesco perdendo cumulativamente circa la metà del suo valore rispetto alla moneta tedesca. Eppure, la crescita media annua della produttività in Italia fu appena superiore a quella della Germania, il tasso di occupazione ristagnò, l'inflazione toccò cumulativamente il 240 per cento contro il 49 in Germania».
La trattativa tra Roma e Bruxelles sulla manovra è allo snodo decisivo e il presidente della Bce non commenta. Ma come la pensi è chiaro: «Nel periodo in cui il finanziamento monetario del debito pubblico fu estensivamente praticato, negli anni Settanta - insiste l'Italia dovette ricorrere ripetutamente alla svalutazione per mantenere un ritmo di crescita simile a quelli degli altri partner europei.
I prezzi e i salari divennero alla lunga insostenibili». E la crescita degli anni '80 «è stata presa a prestito dal futuro, cioè grazie al debito lasciato sulle spalle delle future generazioni». Per domani? Servono riforme, e anche «molto coraggio».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.