È un caso di «psichiatria politica» (definizione di un esponente di governo Pd) scoppiato a Roma, e precisamente nella terremotata Atlantide al tramonto dei Cinque Stelle, a costringere Mario Draghi a distrarre l'attenzione dagli impegni internazionali sulla guerra in Ucraina per cercare di stroncare sul nascere la pazza guerriglia civile nata dalle velenose lotte intestine tra Grillo e Conte sulle spoglie del loro partito. Che rischia di trascinare con sé, nella sua tragicomica implosione, anche la stabilità del paese e la vita del governo.
Così il premier, ieri mattina, ha deciso di abbreviare la permanenza al vertice Nato di Madrid, saltando la sessione mattutina e la conferenza stampa finale di oggi, per rientrare nella notte a Roma e affrontare il nuovo caos politico, alla vigilia di un Consiglio dei Ministri urgente convocato oggi per esaminare, tra l'altro, i provvedimenti in materia di caro bollette e di assestamento di bilancio. Anche perché nel frattempo l'altro anello debole della maggioranza, ossia Matteo Salvini, è saltato a pie' pari sull'occasione offerta dall'offensiva anti-Draghi di Conte per aprire un suo fronte di crisi minacciando sconquassi se il Pd non ritirerà le sue proposte parlamentari su cannabis e ius scholae: «Così non si può andare avanti, la sinistra mina le basi della maggioranza».
A presidiare il fronte Nato rimane, nella capitale spagnola, il ministro della Difesa Guerini. Draghi è convinto che Conte e i suoi consiglieri (a cominciare dal Fatto travagliesco, che da settimane spinge per l'abbandono del governo e che ieri ha ordito la surreale trappola del presunto «conticidio» tentato da Draghi) stiano cercando di creare ad arte un casus belli per ragioni tutte interne a quel che resta del Movimento, e è gelidamente infuriato per la «pretestuosità» delle accuse del suo predecessore e per l'irresponsabilità di chi gioca con la credibilità del paese e la stabilità dell'esecutivo, in un simile momento.
La frenesia contiana è ormai incontenibile. Delegittimato dal fondatore ex comico Beppe Grillo, alle prese con un partito dimezzato dalla scissione di Di Maio e allo sbando, atterrito persino dal fantasma di una presa del potere interno di Dibba, l'ex premier cerca disperatamente un modo per blindarsi alla guida del partito. E cosa c'è di meglio che ergersi a vittima delle presunte manovre contro di lui del suo odiato successore? Palazzo Chigi smentisce di aver mai parlato con Beppe Grillo chiedendo la rimozione del capo politico «inadeguato» (come lo aveva definito peraltro lo stesso Grillo), Draghi fa sapere di aver chiamato l'ex premier, assicura che «il governo non rischia» e di aver «iniziato il chiarimento» con lui, ma quello continua ad aggrapparsi alle tende dipingendosi come bersaglio di un mega-complotto ordito dal premier. A sera sale al Quirinale e racconta di aver rappresentato a Mattarella la «gravità» della situazione in cui si trova. Dal Colle fanno sapere che si trattava in realtà di un incontro già chiesto (il giorno della scissione di Di Maio) e sollecitato poi ieri da Conte, ma destinato a rimanere riservato. Salvo che poi il solito Casalino si è incaricato di renderlo noto urbi et orbi.
Ma dicono anche che l'ex premier non ha minacciato uscite dal governo nè «appoggio esterno», ipotesi per altro giudicata assai poco realistica al Quirinale: Draghi ha sempre messo in chiaro che se cambia la formula di maggioranza il governo salta. E Mattarella, dal canto suo, ha sempre ripetuto ai suoi interlocutori che, se si chiude l'esperienza Draghi, l'unica alternativa è il voto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.