Si vedranno stamattina, i tre leader del centrosinistra. Il primo vertice ufficiale a ridosso del voto sul Quirinale, ma è assai dubbio che serva a qualcosa di concreto. Il segretario Pd Enrico Letta, infatti, è a favore della candidatura Draghi, ma non può dirlo esplicitamente perché tra i dem una robusta fronda trasversale lavora contro la candidatura del premier: dalla sinistra di Orlando, Provenzano e Bettini (bollato come «patetico» dal gueriniano Alessandro Alfieri, tanto per dare un assaggio del clima) al centro franceschiniano fino a un pezzo di Base riformista. Giuseppe Conte preferirebbe financo Silvio Berlusconi presidente a Mario Draghi, ma non ha una carta alternativa e soprattutto non ha grandi elettori grillini disposti a seguire una sua qualunque indicazione. Prova ne sia che i Cinque stelle, ieri, sono riusciti persino a litigare sul nome, proposto da Conte per tacitare i suoi, della senatrice a vita Liliana Segre, che già da mesi ha avvertito di non voler essere strumentalmente messa in mezzo. Quanto a Roberto Speranza, che pure guida un partito quasi impercettibile in Parlamento come Leu, gli tocca tener conto delle opinioni di Massimo D'Alema, ferocemente anti-Draghi e pro-Amato; di Pierluigi Bersani, che finora ha candidato un defunto (l'ex presidente della Consulta Giuseppe Tesauro, scomparso a luglio); forse persino di Pietro Grasso. Fatto sta che, finora, la coalizione giallorossa non ha una linea, se non quella del «mai Berlusconi», ed è rimasta ostaggio delle manovre e degli umori del centrodestra, immobile nell'attesa che da quelle parti si decida qualcosa.
Lo testimonia il fatto che ieri, nel Palazzo, si era diffuso il panico sulle future mosse di Berlusconi e di Matteo Salvini. In particolare nel Pd: «Se il Cavaliere si tira indietro e insieme alla Lega lancia una sua candidatura, noi come facciamo a dire nuovamente di no?», era la domanda che rimbalzava tra i grandi elettori del centrosinistra, mentre circolavano freneticamente i nomi di Letizia Moratti e della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. «Tranquilli: anche se lanciassero quelle candidature, nel segreto dell'urna verrebbero affossate», rassicurava un senatore dem di vasta esperienza. Mentre sulle chat dei parlamentari, a proposito della Casellati, rimbalzava il video della fantozziana contesL'ultimo sondaggio Swg accredita al Pd il 21,6% delle intenzioni di voto, con un calo dello 0,6% sa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare che cerca di varare una nave, sbagliando ripetutamente e sanguinosamente mira: «Finirebbe così», era la chiosa. Il vice-segretario dem Provenzano prova a fare la voce grossa: se Salvini e il centrodestra puntassero su un nome di parte, «la scelta deliberata di rompere l'unità nazionale avrebbe delle conseguenze sul governo e sulla legislatura». Improvvisamente, da ieri, nel Pd hanno scoperto di avere, sulla carta, più voti del centrodestra: 463 a 452. «La matematica non è un'opinione, la destra non ha alcun diritto di primazia, si raccomanda meno arroganza», avverte Lia Quartapelle.
Ma non bastano i numeri (che peraltro conteggiano anche Iv, oltre che parlamentari allo sbaraglio come gli ex M5s) a creare un percorso comune a sinistra. Anche se in diversi, tra i dem, iniziano a indicare esplicitamente un identikit assai simile a quello di Draghi come unica carta per uscire in modo bipartisan dall'impasse: «Una figura forte, che risponda al bisogno di serietà, autorevolezza e capacità», dice la senatrice ed ex ministra Valeria Fedeli.
E il governatore dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che farà parte dei grandi elettori, si augura «che si riesca a trovare l'accordo già alle prime votazioni, con un consenso molto largo», e spiega: «Preferirei che Draghi rimanesse presidente del Consiglio, ma se si trovasse su di lui il massimo di unità per superare lo stallo sarebbe un ottimo presidente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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